Vosina di Bardi è uno dei tanti paesi abbandonati dell’Appennino parmense. Un appuntamento imperdibile per chi, come me, vuole riscoprire il passato di quelle terre ed è alla ricerca di possibili “misteri”…
Ed eccomi, dunque, in viaggio verso questo luogo dimenticato dalla civiltà. È successo alcuni anni fa, ma non credo che oggi le cose sia molto cambiate. Se non in peggio…
La cronaca
Attraverso, dunque, il paese di Bardi e seguo l’indicazione per “Santa Giustina”. Ed è così che, dopo tre quarti d’ora di auto,arrivo non troppo lontano dall’abitato di Vosina. Come detto, è uno dei tanti paesi fantasma del nostro Appennino. Preciso che la strada non è delle migliori, con la sua sequenza ininterrotta di curve destra-sinistra e sinistra-destra. Però, il percorso è anche panoramico. Perché, oltre alla linea ondulata e verdeggiante dei monti,si incontrala cosiddetta “ansa dei graniti”. Sono formazioni di granito, adagiate nei pressi del fiume Ceno. In pratica, magma proveniente dalle profondità del pianeta, poi raffreddatosi. Ed è eccezionale che la roccia risultiancora presente in superficie, cioènon sia andata distrutta da quelle forze geologiche e tettoniche che hanno creato il nostro Appennino nella notte dei tempi. Insomma, siamo di fronte ad una rarità.
Arrivo ed attraverso “Santa Giustina”, un pugno di case, dove è presente un cimitero dalla caratteristica campanella.
In lontananza,e dove domina il fitto bosco, spuntano i tetti delle abitazioni più alte di Vosina. E raggiungerli mi sembra una chimera…
Decido, ovviamente, di proseguire, fino a raggiungere una graziosa chiesetta ristrutturata,dove parcheggio l’auto. Da lì sono costretto a proseguire a piedi, scendendo verso un modesto ma turbolento corso d’acqua (non ci si può sbagliare, basta seguire il cartello con l’indicazione “Vosina”).
Il tragitto è di quindici/venti minuti e, con sorpresa, di nessuna difficoltà. Il sentiero, infatti, è largo e sostanzialmente pianeggiante. Alla sinistra, ed in basso, sono accompagnato dal monotono rumore del torrente Lecca.
Poi, finalmente, ecco il paese. O meglio quel che ne resta.
Sulla destra mi accoglie una spoglia cappella. Comincio a muovermi, ma con difficoltà perché l’erba, molto alta,mi impedisce l’accesso a più di un’abitazione, spesso prive della porta d’ingresso.
Il posto non sembra abbandonato da troppo tempo, o forse recentemente si è cercato di recuperarlo. Noto, infatti, materassi ammassati in un buio locale, reti di letti e sacchi di calce in quella che un tempo forse era una cantina. A quanto, si aggiunge una parabola satellitare.
Però, la desolazione è tangibile. Alcune strutture ricordano i resti delle torri medievali, pur essendo di secoli più recenti.E, poi, sbirciando all’interno, sono visibili tracce d’incendio.
Mi muovo nel paese.
Dando un’occhiata d’insieme, le case paiono distribuite senza un “piano regolatore”, nel senso che si mostrano sistemate un po’ a casaccio, come in una raggiera dalle bacchette storte.
Ogni tanto percepisco colpi sordi. Probabilmente è la brezza che smuove quei travetti di legno che sono pericolosamente sospesi a finestre e soffitti.
Insomma, tanti ruderi, alcune abitazioni in discreto stato, il tutto condito da una infinita tristezza. Ma nessun mistero. O forse no…
Ed ecco il “mistero”
Torno a Vosina non troppo tempo dopo e con due amici.
La giornata è nuvolosa, spesso bagnata da una pioggerellina sottile. Lasciamo le automobili all’ultimo pugno di case prima di imboccare il sentiero che costeggia il torrente e che porta al paese abbandonato. A dire il vero anche queste abitazioni sembrano prive di vita. Solo un cane bianco di taglia media gironzola senza meta apparente. Forse sta solo ingannando il tempo. Come ci vede, scodinzola festoso. Per lui deve essere un “avvenimento” incontrare persone da queste parti. Vede che imbocchiamo la via sterrata che porta a Vosina.
Per esperienza, sa che i pochi che passano di lì andranno poi là. Cosa fa, allora? Viene con noi, anzi ci precede di dieci-quindici metri, quasi a farci da guida. È un cane molto festoso e vivace. Scodinzola spesso, va avanti e indietro, sale e scende i declivi erbosi che ci affiancano. Annusa, alza la testa, l’abbassa e parte improvvisamente, inoltrandosi nel fitto bosco. Insomma, non sta mai fermo.
Arriviamo, dopo una ventina di minuti, all’ingresso del fatiscente paese. Il cane si ferma e ci aspetta proprio a pochi metri dalla prima abitazione. “Che bravo”, pensiamo tutti. Lo raggiungiamo e lo sorpassiamo. “Su, dai, vieni con noi“. L’animale rimane immobile. Non si muove di un centimetro. La vitalità dimostrata fino a pochi istanti prima sembra svanita. Anche l’espressione appare mutata. Leggiamo tristezza nel suo sguardo. La coda è bassa, come pure le orecchie. “Vorrei ma non posso“, questo è il messaggio che sembra lanciare. Poi si gira e se ne va.
La domanda, allora, è: come mai questo improvviso mutare di comportamento? Cosa ha spaventato un cane gioioso fino a quel momento e a suo agio fra sterpi, erba alta, salite e discese? Chissà…
Dimenticavo… il termine “Vosina” pare derivare da “vocina”, come a dire è stato costruito dove un tempo “ci si sentiva”…