Siamo a Vigoleno, sulle colline piacentine della Val Stirone, zona particolarmente ricca di mistero.
Ma partiamo dal suo strano nome, Vigoleno, da cosa deriva?
Le teorie sono diverse, la più accattivante è che discenda dal latino “Victus Lyaeci”, che significa “luogo consacrato a Bacco”, per l’evidente bontà della produzione vinicola. È qui, infatti, che si produce il “Colli Piacentini Vin Santo di Vigoleno”, un vino D.O.P. dal colore dorato.
Vigoleno è di probabili origini longobarde, ma la cosa singolare, perché rara, è il fatto che il suo castello sia appartenuto per secoli, e quasi ininterrottamente, ad una sola famiglia. In pratica, dalla fine del Trecento fino agli inizi del Novecento, è stato di proprietà degli Scotti (grazie anche alla protezione dei Visconti).
Entriamo nel borgo
Come si entra nel borgo medievale di Vigoleno, e prima di accedere al castello vero e proprio, colpisce una sorta di cupola allungata posta nel cortile. Un mistero? No, è l’antica cisterna, utilizzata per raccogliere l’acqua. Ma serviva anche da ghiacciaia, cioè da “frigo”, grazie all’utilizzo di neve pressata. Mi chiedo, però, perché non farla completamente infossata. Avrebbe sicuramente dato più ariosità allo spazio aperto.
Al suo fianco, una fontana circolare. Che la sua acqua fosse preziosa, lo ricorda un editto dei castellani che puniva severamente chi, fra il popolo, l’avesse sporcata.
Ora lasciamoci alle spalle i due artefatti, ed entriamo nel maniero, non prima di aver alzato lo sguardo ed osservato le sue merlature. Sono a coda di rondine, quindi ghibelline. Ed ecco un primo mistero. Perché gli Scotti erano guelfi…
Visita al castello
Le stanze visitabili non sono tante, però permettono di cogliere alcuni particolari curiosi.
Chi poteva immaginare che Vigoleno potesse ospitare il più piccolo teatro d’Europa? E fu grazie alla duchessa Maria Grammont, nata Ruspoli e moglie di uno dei nobili più ricchi di Francia, che venne realizzato negli anni Venti. E visto che dal castello è passato il “jet set”, come Luchino Visconti e l’attore Helmut Berger, i suoi delicati disegni, che raccontano di animali e divinità ma anche dame e suonatori, hanno fatto il giro del mondo.
I quadri del mistero
Poi, che dire di quel curioso quadro di Max Ernst dipinto nel 1933, il cui originale è conservato a Houston, negli Stati Uniti? E qui c’è un mistero. Osserviamolo… riporta un paesaggio onirico, visionario, tanto da ricordare una “foresta imbalsamata” (e tale è il nome del quadro). Va detto che l’idea di “foresta” piaceva molto all’artista. E come dargli torto. Nella foresta ci si perde, si possono fare incontri straordinari con le creature che l’abitano, i chiaroscuri tolgono certezza alla visione, insomma, il confine tra il reale ed il possibile diventa talmente sfumato da accogliere tutto ed il suo contrario.
La cosa che davvero colpisce, però, è quella sagoma tratteggiata che svolazza davanti alle piante. Ernst lo definì “Loplop, un fantasma privato”. Si tratta di un uccello stilizzato, magari lo stesso che qualcuno del borgo di Vigoleno giura di aver visto per davvero nei boschi circostanti? Un bel mistero, non c’è che dire.
Come curiosità, va detto che il nome di “foresta imbalsamata” era stato suggerito dagli impiegati del castello, ancora entusiasti della “Aida” di Verdi, a cui avevano assistito poco tempo prima della sua realizzazione. Ricordo che, ad un certo punto dell’opera, uno degli attori esclama la frase “rivedrai le foreste imbalsamate, le fresche valli…”.
Non meno intrigante e carico di mistero è il quadro della già citata duchessa Ruspoli. Dietro alla sua figura in abiti seicenteschi, appare un’immagine diafana, una figura semi trasparente. Come non pensare ad un fantasma? Chiedo informazioni alla guida. “Purtroppo non esistono studi su quel quadro”, mi risponde dispiaciuta.
A proposito di guida e di mistero. Domando se questo castello di Vigoleno ospiti un etereo spirito, come tutti i castelli che si rispettino…
“Mah… personalmente non ho mai assistito ad alcunché di strano, però in paese c’è qualcuno che la pensa diversamente…”.
In giro per il borgo
E, così, uscito dal maniero, sempre a proposito di mistero, provo a chiedere in giro. Il primo che fermo è un signore baffuto che gestisce un negozio di fronte ad un ristorante. “Non ne so nulla. Però so di grotte che partivano da sotto il castello e che una volta arrivavano fino al torrente Stirone. Le hanno esplorate fino alla zona del cimitero, poi si sono fermati perché erano crollate”.
Una signora di una certa età mi parla, invece, di “un pozzo in cui scaraventavano i condannati”. Non ho capito, però, se non sia mai stato ritrovato oppure semplicemente non venga mostrato al pubblico, perché non l’ho mai visto.
Ma l’affermazione più curiosa e al contempo carica di mistero è quando una ragazza di nome Alice mi racconta la storia dello spettro (o, meglio, presunto tale) colpito da una randellata.
Dobbiamo tornare in un tempo indefinito del nostro passato. Allora, era già qualche notte che le guardie di ronda del castello di Vigoleno notavano una figura biancastra che camminava lentamente lungo la merlatura. Timorosi e vedendo che, in ogni caso, non aveva un atteggiamento minaccioso, l’aveva lasciata stare. Finché un bel giorno (anzi, notte), il più coraggioso dei soldati decise di “guardarci dentro”. E, così, appostatosi dietro un sicuro riparo, aspettò che gli passasse di fianco, per assestargli una bella manganellata. Deve essersi detto: “se è un fantasma, non se ne accorgerà neanche, se è una persona in carne ed ossa, gli passerà la voglia di gironzolare con il buio…”.
Come andò a finire?
Con le grida di dolore del povero sonnambulo, ospite del castello… beh… qui forse il mistero è stato risolto…
Insomma, di “veri” fantasmi neppure l’ombra. O forse stanno nascosti fra le parole che sento dirmi. “Mio padre, quando era un ragazzino, girava per il castello anche al tramonto. Diceva di provare sempre delle sensazioni di grande paura. Ma non era il solito timore del buio che abbiamo provato tutti. No, era qualcosa di diverso, che sentiva solo lì…”.
La pieve romanica
Ora, rimanendo sempre a Vigoleno, entriamo nell’antica pieve romanica di San Giorgio (XII secolo), probabilmente un tempo parrocchia del piccolo borgo. Occorre inserire una moneta per beneficiare dell’illuminazione. E così si presenta una piccola basilica a tre navate, con alle pareti bei dipinti color pastello del Quattrocento e sul colonnato bassorilievi di alcuni secoli prima e dal significato allegorico (dove si sprecano figure umane e zoomorfe e pure simboli arcaici, come la Rosa Camuna).
E, qui, c’è un altro mistero… chi sono i tre personaggi messi in fila e dalle “simpatiche” fattezze fanciullesche, scolpiti nella parte alta di una colonna? Forse dei pellegrini, forse la Trinità, o forse entrambe le cose. Ad osservare le loro espressioni, sembrano beffarsi della nostra domanda…