A volte si percorrono strade che il cuore non capisce e la mente non sa spiegare. Ma l’anima lo sa. (Fabrizio Caramagna)
Questa frase mi è ritornata in testa, come per magia, mentre sto percorrendo un sentiero nel bosco. Di notte. Sto seguendo le “nostre” guide o sarebbe meglio dire le nostre nuove compagne. Stiamo raggiungendo la roccia 27 nella Riserva Naturale delle Incisioni Rupestri di Ceto Cimbergo e Paspardo nella frazione di Nadro.
Nessuno ha detto nulla in merito e, pur essendo ampiamente equipaggiati, procediamo al buio. Gli occhi si sono abituati all’oscurità del sottobosco e la luna piena ci da una mano.
Il fiume dei pensieri
Mentre salgo i pensieri sono un flusso ininterrotto, un fiume. Un fiume che ha le sue sorgenti nel lontano passato. Probabilmente molto più lontano di quanto io possa perfino ricordare.
E così mi rivedo bambino affascinato dalle mie “prime” incisioni rupestri sul “Coren delle Fate” a Sonico. Poi, più cresciuto, per i boschi tra Ceto e Capo di Ponte con i miei “soci” camuni. Ma soprattutto mi ricordo la prima volta che ho visto gli “Astronauti” con altri quattro scappati di casa sempre di notte, circa trent’anni fa. Spero che il reato sia prescritto, perché allora come oggi quella parte del parco è chiusa al pubblico. Ho in mente in maniera precisa lo stupore e la meraviglia che provai. Ma il mio cammino era ancora lungo. Non avrei mai immaginato, allora, quanta ricerca avrei fatto su di loro. Quanto quel percorso mi avrebbe dato e quanto avrei perso se non lo avessi seguito.
Camminiamo in silenzio. Anche qui, nessuno ha detto nulla, ma ci è venuto spontaneo, naturale una sorta di rispetto o quasi una forma di meditazione. Il sentiero si fa più erto, la salita si sente. Ma la nostra piccola compagnia procede spedita come guidata da un filo invisibile.
Un filo invisibile
Lo stesso filo che mi ha condotto tra mille peripezie a organizzare questa parte della spedizione FUI.
Credo esista il destino. Qualcuno dirà che mi illudo che ci sia… ma se ci si pensa, fa lo stesso. Penso, di conseguenza, che nulla capiti per caso. Quindi tutte le porte chiuse che ho trovato nel mio percorso per rivedere “legalmente” le iscrizioni di Zurla, hanno avuto un senso. Il tempo passato, doveva passare. Prima non sarei stato “pronto”.
Mentre salgo mi vedo, quest’estate, difronte alle sede del Parco, a Nadro. Sudato e stanco ma soprattutto scoraggiato. Mi sono detto:”…dai, una volta in più: cosa ti costa?”
…e le cose accadono. Incontro colei che ci farà da guida, ma non lo so ancora. Attacco con la mia richiesta, stavolta mi gioco anche la carta FUI… ma questa volta funziona! C’è unità di pensiero, di colpo tutto sembra possibile. Esco che quasi non “tocco terra”. Il sentiero è stretto, come quello che sto percorrendo ora nel buio, ma c’è. Messaggi, telefonate, email… e finalmente la risposta positiva che attendevo da tempo: la direttrice del Parco ha autorizzato la visita guidata a scopo di ricerca della FUI. Ora si può partire. E via un girotondo di chiamate, chat, incontri per organizzare tutto al meglio. È stato solo poche settimane fa, ma mentre sono qui che cammino, tutto mi sembra così distante.
Ci fermiamo. Le Ragazze devono recuperare del materiale per il fuoco… accenderemo anche il fuoco, bello.
Un gruppo eccezionale
Eccoci pronti all’ultimo pezzo di tragitto. Siamo alcuni membri della FUI, io, Danilo, Stefania, Andrea, Gabriele e Federica che ci ha raggiunto in serata. Oltre a noi le nostre tre “fantastiche” guide: tre ragazze preparate e appassionate.
Così appassionate che per condurci alla roccia 1 di Zurla, nei giorni scorsi, hanno fisicamente pulito il sentiero. Il che tradotto significa aver tolto erbacce, rovi e arbusti che bloccavano il percorso, un lavoro notevole. Quando l’ho saputo oltre alla gratitudine mi sono anche detto che non ci deve essere molta gente che visita il sito. Forse aspettava noi.
Si riparte. Fatta eccezione per Federica siamo gli stessi di questa mattina. Sono passate poco più di 12 ore dal nostro primo incontro con le tre guide. Ma ho l’impressione che ci si conosca da sempre.
Credo che a tutti sia capitato di incontrare dei perfetti sconosciuti che in pochi attimi sembravano fratelli o sorelle perduti. Ecco letteralmente questo è ciò che è accaduto questa mattina. Ma la cosa sconvolgente è che tutti, sia “noi” della FUI che “loro” le guide, abbiamo provato la stessa cosa.
Una lunga attesa
“Siamo quasi arrivati…” è la stessa voce di stamattina. Una frase che, senza rendermene conto, ho atteso per quasi trent’anni. I ricordi della mattina sono freschi ma già stampati a fuoco nel mio inconscio. Troppo forte l’emozione di rivedere gli Astronauti. Poter seguire con il dito l’incisione sulla roccia, le ali. Letteralmente toccare l’oggetto di tante ricerche. Poter sentire col tatto i colpi che hanno scalfito la pietra migliaia di anni fa. Quasi entrare in contatto con quegli antichi uomini che lì hanno lasciato il loro messaggio. Messaggio che ha attraversato tutta la storia dell’uomo per arrivare a noi.
Ora che ho anni di ricerche sull’argomento, so che non ci sono solo quei due misteriosi personaggi sulla roccia 1. Lì c’è molto altro: i cerchi reticolari, i monocoli, le spirali e gli avvolgimenti, i busti atoracici e perfino quello che appare come un sigillo runico ante litteram, il “fiocco di neve”. Tutti elementi che ognuno per se merita fiumi di inchiostro. Ma aldilà delle foto e dei resoconti che documenteranno la ricerca, tutto scompare se paragonato all’energia del luogo.
Mentre cammino nell’oscurità del bosco, sento che i miei passi seguono passi più antichi dei miei.
Luoghi unici
Sentire… la cosa che conta davvero è questa. Ed è stato proprio questo il fulcro dell’esperienza a Zurla di questa mattina. Un luogo sacro. Un luogo magico. Una roccia quasi completamente liscia, inclinata a 45°, a picco sul fiume Oglio. La vista è da togliere il fiato: sulle prime balze che portano al Pizzo Badile proprio difronte alla Concarena che troneggia dall’altra parte della valle. La bellezza della Roccia 1 di Zurla è paragonabile solo alla sua pericolosità. Si comprende appieno solo salendoci la scelta di non aprirla al pubblico.
Sicuramente gli antichi incisori, da essa, ammiravano un panorama diverso: senza paesi, più selvaggio. Non so se fosse migliore. Ma certamente l’aura del luogo era la stessa o magari, questo sì, anche maggiore.
Gli archeologi propendono per indicare il luogo come un sito iniziatico riservato a pochi. Noi e le guide che ci siamo stati sopra a piedi nudi, ne siamo certi.
A piedi nudi
La cosa meravigliosa è che è permesso camminare sulle rocce, ma senza scarpe. Meglio se a piedi nudi, aggiungo. Si scivola meno che tenendo le calze.
Non so se incolpare i nostri piedi non avvezzi e quindi troppo sensibili per tanta energia o il pericolo incombente di una scivolata. Sta di fatto che otto persone questa mattina sono salite su quella roccia da semplici conoscenti e ne sono scesi legati da una profonda fratellanza.
E non poteva essere che lì sopra, seduti a chiacchierare dei glifi, dove sono cadute tutte le barriere e ci si è aperti l’un l’altro. Abbiamo scoperto che le tre guide si occupano anche di ricostruzioni teatrali e recupero, per quanto possibile, delle arti e dei riti che su quelle rocce si praticavano. In un attimo ci siamo accordati con loro per una rievocazione la sera stessa.
La giornata è corsa veloce: in men che non si dica ci siamo trovati nel tardo pomeriggio dopo aver girovagato per tutto il parco delle Foppe scoprendo incisioni e angoli magnifici grazie alle nostre guide.
“Eccoci…” è il suono che mi scuote dai miei pensieri. Pensieri che erano incentrati sul quanto sia stata meravigliosa e unica questa giornata. È già andata ben oltre le mie più rosee aspettative. Non saprei cosa chiedere ancora, mi dico.
La roccia 27
Siamo giunti alla nostra meta: la roccia 27. È una pietra enorme con una forma più o meno circolare e quasi piatta. Ha un diametro di una ventina di metri e si trova nel centro di una radura del bosco. La luce della luna piena la illumina in maniera perfetta.
La parte razionale per un attimo ha il sopravvento. Scatta la corsa a preparare le attrezzature: telecamere, melmeter, rilevatori di presenza, il tutto correlato di supporti e cavalletti.
Ma la distrazione dura poco. Giusto il tempo che le tre ragazze salgano sulla roccia e comincino a cantare.
Energia
Sento immediatamente l’impulso di salire a mia volta sulla roccia. Lo faccio a piedi nudi. La roccia è calda. Il sole l’ha scaldata per tutto il giorno, penso.
Ma oltre il calore c’è di più. È una vibrazione, un’energia potente, una forza che sale dai miei piedi e passa attraverso il corpo e mi porta verso l’alto. La sensazione è di essere sollevato.
Il canto salmodiante mi rapisce. Mi volto verso le tre guide ed è proprio allora che li vedo…!
Ai margini della roccia dalla parte opposta, sotto la diafana luce della luna piena, mi appaiono delle sagome. Ruoto la testa intorno a me. In alcuni punti sono più definite in altri più sfocate. I rilevatori di presenze sono tutti accesi. Sono tutt’attorno alla roccia. Sono tutt’attorno a noi.
Dentro il cerchio
La sensazione è di grande positività. Avverto quasi un senso di gratitudine. Mi spiegheranno poi le “nostre” guide che è anche la loro sensazione. Come se coloro che compivano i riti su quelle rocce millenni or sono si compiacciano che che qualcuno continui la tradizione, perpetui la sacralità dei luoghi.
Mi sento vivo come non mai. Sono pieno di energia. Le ragazze si spostano a qualche metro dalla roccia, sul limitare del bosco. Non ho idea di come abbiano fatto al buio, ma hanno preparato un cerchio di pietre per il fuoco. Con le sole scintille di due pietre focaie riescono ad accendere il fuoco. Visto così: è una magia! Nella notte riecheggia il suono autoritario di un corno.
Le pelli dei tamburi vengono scaldate alla fiamma per tenderle meglio. Cominciano a suonare: tamburi, corno e canti. È come fare un viaggio indietro nel tempo. Il bosco risuona e fa eco. Tutta la natura risponde e celebra con noi la meraviglia di questo momento.
Alzo lo sguardo e li vedo nuovamente. Provo una sensazione di protezione, di più, è quasi come essere coccolati. Guardo i visi dei miei compagni: sono tutti sereni e distesi. Non ci diciamo una parola, ma ci capiamo benissimo.
Sento che dovevo arrivare qui. Sento che la mia anima voleva essere qui. Forse perché c’era già stata o forse chissà.
Ogni luogo è un punto di arrivo e al contempo uno di partenza. Ma questa è stata una tappa importante.
Ringrazio i miei amici per aver intrapreso questo viaggio insieme.
Ringrazio le nostre tre nuove compagne per aver condiviso con noi le loro conoscenze, la loro arte, i loro segreti.
Ringrazio il destino per il meraviglioso dono che stanotte ho ricevuto.