
Quando ci troviamo di fronte ad una esperienza “anomala”, inusuale, sia nostra che di altri, la prima cosa che facciamo, senza neanche rendercene conto, è confrontarla con il bagaglio di esperienze e conoscenze che ci portiamo dentro.
Se essa è conforme a quanto già sappiamo, la accettiamo; se non lo è mettiamo in discussione il fatto stesso o colui che ce lo ha raccontato. Nel primo caso cerchiamo di ricondurlo a fatti già noti (millanteria inclusa), nel secondo arriviamo a dubitare della salute mentale nostra o di chi ce lo ha raccontato.
Una carta da gioco non può attraversare un tavolo né una persona o una pipa possono attraversare un muro.
Dunque, chi lo racconta da testimone, o ha visto male o è vittima di un inganno che non è riuscito a smascherare.
Chi lo racconta da protagonista (è lui che ha attraversato il muro, è lui che è diventato immateriale entrando in un disco volante…) se non mente consapevole di farlo, visto che i fatti sono… impossibili, deve avere qualcosa che non va: da qualche parte, nel suo encefalo, ci deve essere stato qualcosa che non è andato e non va come dovrebbe.
Ecco, dunque, l’intervento dello psichiatra, almeno sulla carta.
Ma perché un oggetto non potrebbe attraversare un muro? Perché un uomo non potrebbe diventare… immateriale?
Mettere in discussione l’evento in sé, o chi asserisce di avervi assistito o di averlo vissuto da protagonista, richiede, senza saperlo, un enorme presupposto di base anzi, due: A) la realtà è quella che noi percepiamo e altro, al di fuori di essa, non v’è.
Questo presupposto si basa a sua volta su un presupposto che deve precederlo: B) noi siamo fatti in maniera tale da poter percepire tutto quello che c’è (o, se si preferisce, da poter interagire con tutto quello che c’è là, fuori di noi). Saremmo, per farla breve, degli organismi perfetti: dei sommi indagatori dell’universo-mondo. Almeno per quanto riguarda la percezione, l’analisi e la concettualizzazione di quanto percepito, non ci manca nulla. Ergo, la nostra rappresentazione del mondo è quella giusta anzi, è l’unica possibile nel giusto: ognuno (ogni specie) può rappresentarsi il mondo come vuole (come può), ma la nostra rappresentazione, quella di Homo sapiens, è l’unica che corrisponde, direttamente o indirettamente, a come esso è.
Chiediamo allora ai biologi se questo postulato, B, ha un fondamento (nel qual caso esso non sarebbe più un postulato).
I biologi ci risponderebbero che gli organismi viventi non sono mai perfettamente adattati al mondo in cui vivono, non sono affatto perfetti (nemmeno in quanto a percezione) e questo non solo perché questo mondo è in continuo cambiamento, non solo perché ogni struttura, funzione o comportamento è frutto di un compromesso fra varie esigenze, ma soprattutto perché essi, organismi viventi, sono il frutto di processi evolutivi non finalizzati e, perciò, non programmati, non “studiati ingegneristicamente a tavolino” prima della realizzazione del “progetto” stesso (che, in realtà, non c’è).
Dunque, quel postulato, B, non ha fondamento anzi, non ha ragione di esistere.
Ma allora, se non siamo perfetti nel corpo e visto che il nostro encefalo fa parte di esso, neanche l’encefalo (qualunque sia il rapporto che esso ha con la coscienza… l’anima… lo spirito) deve essere perfetto. Dunque, neanche la percezione lo è.
Rita Levi Montalcini, Nobel per la Medicina, diceva che il nostro encefalo è un “accrocco”.
Per Jacob von Uexküll, biologo estone, ogni specie vive in un suo mondo percettivo-fattuale diverso da quello di ogni altra specie e che a tutte le altre specie è inaccessibile. Perché noi dovremmo essere una specie particolare!? Perché il nostro universo percettivo dovrebbe essere assoluto, coincidente cioè con ciò che realmente (!?) esiste se, come le altre specie, siamo frutto dei processi evolutivi limitanti di cui sopra?
Il Prof. Telmo Pievani, filosofo della scienza, riecheggiando il biologo estone dice che “vediamo il mondo da un pertugio tutto nostro”.
E Giorgio Vallortigara, neuroscienziato, scrive che “le nostre percezioni non sono state plasmate dalla selezione naturale per darci un’immagine veridica del mondo, quanto piuttosto per ingannarci sufficientemente bene per sopravvivere nel mondo” per cui il nostro mondo percettivo non è “un’approssimazione a come il mondo è davvero, ma a come sia più conveniente rappresentarlo. Un teatrino, una grande illusione. La nostra prigione”1.
Il Prof. Vallortigara parte da conoscenze empiriche, sperimentali, ma come non ricordare che quanto di lui abbiamo riportato ci rimanda a Schopenhauer quando dice che… “non vi è oggetto senza soggetto” (qui anticipando la MQ) e dunque che… vedo il mondo come lo vedo non perché esso è fatto come io lo vedo ma perché io sono fatto in maniera tale da vederlo come lo vedo!?
Ma, si dirà, Bernadette era l’unica che vedeva “quella là” (Que soy era Immaculada Councepciou: Sono l’Immacolata Concezione) mentre tutti gli altri là convenuti non la vedevano per cui sarebbe lecito dubitare della sua testimonianza. Il che, però, è un po’ come dire che è il numero che fa l’oggettività… e questo non è un buon criterio scientifico anche perché, per quanto detto, se una cosa non preesiste alla sua osservazione, non ha senso dire questo è reale e quello no: ha senso piuttosto dire che Tizio è in grado di interagirvi, Caio no. Che questo, poi, derivi da una proprietà intrinseca di Tizio che Caio non ha, o da un intervento diretto dell’oggetto dell’interazione, è tutto da stabilire, caso per caso, ma non cambia la sostanza delle cose2.
Tutto ciò premesso, e anche con la consapevolezza che la nostra non è una scienza conclusa, la prossima volta che vi capita di incontrare un signore che dice di aver visto una Madonnina lacrimante, un mazzo di fiori che attraversa un muro3 o un alieno di una lontanissima galassia che gli ha fatto ciao, prima di gridare allo scandalo e invocare per lui un TSO d’urgenza, sedetevi un attimo e pensateci un momentino su.
Fiorentino Bevilacqua
- Il mondo dei fenomeni inusuali è un modo per evadere da questa prigione.
- Nel caso dell’inusuale religioso, vi sono molti meno problemi di accettazione.
- Uno dei nostri a priori, uno dei principi della nostra “fisica intuitiva”, è quello secondo cui dove vi è un oggetto non ve ne può essere un altro. Una qualsiasi cosa che attraversi il muro sovverte questo nostro principio di base, un nostro principio fondante. Questo la rende inaccettabile, prima di qualsiasi considerazione di ordine puramente fisico.