Da diversi anni, oramai, Marte è divenuto il sogno “quasi” proibito della scienza ufficiale nonché dell’esplorazione spaziale.
In molti, compresi organi ufficiali come la NASA, l’ESA ed anche l’ASI, hanno maturato la convinzione che sia giunto il momento, per l’uomo, di varcare il confine del non ritorno e recarsi direttamente sul pianeta rosso per raccogliere risposte concrete, sull’effettiva presenza o meno di vita sul pianeta e per porre le basi del primo vero insediamento umano stabile sulla sua superficie, per poter dare all’umanità la speranza di concedere alle generazioni future un’alternativa, una nuova casa dove poter vivere.
Prima di questo però è stato però necessario chiarire alcuni aspetti riguardanti il pianeta, impensabili fino a qualche tempo fa, resi oggi possibili grazie alla recente missione Insight che ci ha permesso, grazie anche alla collaborazione del rover Curiosity, di effettuare alcuni valutazioni importanti. Ad esempio, si è scoperto che il suolo marziano è sferzato spesso da forti raffiche di vento e da terremoti, che in alcuni suoi crateri le rocce contengono numerosi sali minerali (prova inconfutabile che, tanto tempo fa, erano presenti in superficie laghi e corsi d’acqua), che esistono vaste aree nelle quali giacciono oasi di gas metano e che, con molta probabilità, vi sono tracce di vita microbica.
Vecchie teorie e nuove rivelazioni
Secondo alcune teorie, elaborate nel lontano 1970 dallo scienziato Gilbert Levin, diverse di queste risposte erano già disponibili al tempo delle missioni effettuate dalle sonde Viking che rilevarono tracce di anidride carbonica sul pianeta, fattore che però non fu preso nella giusta considerazione dalla NASA in quanto ritenuto insufficiente (per loro) a dimostrare la presenza di vita come noi la conosciamo, riconoscendo soltanto la presenza di una sostanza che potesse eventualmente favorirne la nascita.
Lo stesso Levin era convinto che se si fosse “preso un campione di terreno marziano e lo si fosse spruzzato con acqua e sostanze nutrienti che contenessero carbonio radioattivo, eventuali organismi presenti nel campione se ne sarebbero nutriti e di conseguenza avrebbero emesso anidride carbonica la cui molecola sarebbe stata composta anche dal carbonio radioattivo immesso, e quindi sarebbe stato facile da rilevare”.
Questa affermazione si pensò fosse corretta e portò alla conclusione che su Marte potessero effettivamente esistere alcune forme di vita, ma un secondo ed un terzo esperimento successivo non confermarono i risultati ottenuti nel primo per cui l’idea che sulla superficie marziana potesse essere presente la vita fu totalmente negata.
Prossimamente, però, ci sarà l’occasione per effettuare una nuova verifica, poiché nel 2020, a bordo di un rover dell’ESA saranno portati su Marte strumenti adeguati a verificare l’effettiva presenza di vita sul pianeta.
Ci saranno presumibilmente fornite finalmente le risposte che cercavamo da tempo?
Sapremo veramente se un giorno potremo vivere stabilmente sul pianeta rosso? Non resta che attendere e stare a guardare…