Luce viola come UFO? Già… ma alzi la mano chi pensa che un UFO (perché di questo tecnicamente si tratta) si possa presentare anche di questo colore. Non certamente io, o almeno non prima di quel sabato mattina di alcuni anni fa, quando mi reco a Pessola, una delle frazioni della parmense Varsi che “guardano” il Monte Barigazzo.
Perché scatta l’indagine
Lo scopo è di rintracciare il testimone di un clamoroso avvistamento ufologico di tanti anni fa e del quale, a dire il vero, si sa pochissimo (in Internet, riviste, libri, non si trova nulla al proposito). Le uniche indicazioni in mio possesso sono che è “donna” e di “Pessola”. Non so l’età, quindi né se sia viva e né se abiti ancora in questo borgo. Non molto, ad essere onesti. Anzi, aggiungo la nota “che non ama parlarne”.
Quindi, il timore concreto è di non rintracciarla e pure che nessuno conosca la storia. E le prime due ore sono scoraggianti. Perché rimbalzo tra persone giovani e meno giovani, tutte ben disposte e tutte che “cascano dal pero”. E tutte che mi offrono un caffè, quasi a scusarsi della propria ignoranza. Insomma, di “UFI” neanche a parlarne. Il che mi sembra perlomeno curioso, se non strano, perché in un piccolo paese tutti sanno tutto di tutti.
Alla fine, quasi rassegnato, imbocco un sentiero che si allontana dal paesino e si arrampica verso il Monte Dosso.
Il testimone esce allo scoperto
Non so neppure io del perché lo scelga. Dopo una ventina di minuti di salita, mi corre incontro un bel cagnone color panna, prima attento e poi giocoso. Girando un angolo, noto la casa isolata dalla quale deve essere uscito. Una signora di mezza età è indaffarata in faccende agricole. “E se chiedessi a lei?”, rifletto. A volte penso che il caso non esista. Perché scoprirò a breve che la sorella, anch’essa presente e poco distante, è stata una delle testimoni dirette di quel misterioso fatto che tanto mi sta facendo penare. Ed inizia a raccontarmi una storia che ne ha del clamoroso.
“Era l’inverno del 1978/1979. In quel periodo frequentavo la scuola superiore a Parma. Saranno state più o meno le ore due, di una notte molto fredda. Improvvisamente, però, sento molto caldo e scosto le lenzuola. Dagli occhi socchiusi, noto che una gran luce penetra nella stanza attraverso le fessure della tapparella. <Oddio… è già l’alba… e sono in ritardo…>, mi allarmo. C’è qualcosa che non torna, però. La luce infatti non è bianca o gialla… la luce è viola! Mai avrei immaginato di vedere una luce viola in un contesto del genere…
Ma, pur realizzando la stranezza, curiosamente non mi alzo immediatamente ma rimango in una sorta di dormiveglia a rigirarmi, e non so per quanto tempo. Poi, finalmente, scendo dal letto e sollevo la tapparella. Non credo ai miei occhi. Davvero una vivida luce viola si staglia con decisione sullo sfondo bianco dell’innevato e ripido Monte Barigazzo. È questa, la causa della luce che ancora illumina la mia stanza. Rimango lì non so per quanto tempo e non ricordo neppure come sia sparita. Ricordo bene, invece, di come mia madre, che dormiva nella stanza accanto, si svegliò pure lei per il caldo e che mi raccontò di aver visto la luce viola filtrare da sotto la porta (la sua finestra non volgeva verso il monte).
Ho saputo successivamente che, dal vicino paese di Tosca, una squadra di volontari voleva partire la notte stessa alla volta del Barigazzo, temendo un incidente aereo. Ma le condizioni del tempo erano proibitive per via della neve e quindi non se ne fece niente. Di questo fatto poi non seppi più nulla”.
La signora parla con piglio sicuro, come se la cosa fosse successa l’altro giorno. E non colgo enfasi, né toni teatrali, ma solo una lucida ricostruzione dei fatti.
Un secondo testimone
Successivamente rintraccio un secondo testimone di questa misteriosa luce viola apparsa sul fianco del Monte Barigazzo nell’inverno 1978/1979. Si tratta della sorella della ragazza già intervistata (che curiosamente ha fatto cenno alla madre ma non a lei). Non meno curioso è il suo comportamento:
“Sì, ricordo bene quel fatto, soprattutto il calore intenso che aveva invaso la stanza, nonostante fosse notte e con una temperatura esterna ben sotto allo zero. Il locale era illuminato a giorno da una luce viola. Ma non mi alzai a tirar su la tapparella, come invece fece mia sorella. Semplicemente <voltai gallone>, cioè tornai a dormire. In effetti è singolare questo mio comportamento, vista la straordinarietà dei fatti, ma tant’è.
Il giorno dopo, a Bardi, i miei compagni di scuola che abitavano a Tosca, raccontarono eccitati di come alcuni genitori avessero voluto salire sul Barigazzo la notte stessa, per controllare cosa fosse successo. Ma c’era troppa neve (NdA con il braccio teso mi fa segno che la sua altezza superava il metro).
Comunque, qui in paese in tanti furono testimoni di quei fatti (NdA strano, perché quelli da me intervistati non mi hanno raccontato nulla). Ad esempio, nel villaggio turistico <Il Falco>, che si trova a poche centinaia di metri da qui, molti uscirono all’aperto ad osservare l’incredibile fenomeno. E ne scrisse anche la <Gazzetta di Parma>. In ogni caso, nessuno seppe mai darne una spiegazione, anche perché passò parecchio tempo prima che i sentieri del Barigazzo diventassero praticabili”.
La visita in loco
A questo punto, non mi rimane che andare a Tosca, il paese da cui doveva partire la spedizione di salvataggio.
Parlo con diverse persone, sia lungo la strada che nell’unico bar/trattoria del posto (e, qui, interrompendo un’impegnativa partita a carte…). Però, nessuno sembra sapere nulla. Poi, finalmente, trovo una signora che si ricorda del fatto. “Io non ho visto nulla, però so di un signore di Mariano (NdA frazione poco lontana) che parlava di quella cosa. Diceva che aveva spalancato la finestra perché fuori era tutto illuminato e si era trovato davanti un <aereo>, sì, lo aveva chiamato proprio così, che quasi gli entrava in casa tanto era basso. Non aveva accennato a rumori, ma solo a un gran bagliore. Purtroppo nessuno andò mai a controllare, neppure quando la neve se n’era andata. Probabilmente perché non si era sentito di un aereo scomparso, quindi non ne valeva la pena”.
No, che ne valeva la pena, invece…