Con quest’ultima pubblicazione, titolata “Lo Stargate degli Anunnaki” abbiamo aggiunto nuove scoperte alla nostra già complessa indagine che ci ha tenuto impegnati per oltre un ventennio. Un’indagine complicata, il cui obiettivo era di risalire alle origini di un’antica divinità, conosciuta con il nome di Adranòs, il cui culto si attestò in Sicilia durante il II millennio a.C.
Per chiarire alcuni complessi punti di vista, siamo stati costretti a dissacrare molti tabù, radicati nella memoria collettività d’intere civiltà apparse sul pianeta, facendo crollare, dal nostro punto di vista, certezze storiche e dogmi religiosi, per scoprire quella realtà, le cui nuove congetture surclassano gli schemi storici imposti dall’ortodossia classica. Ecco perché, a volte, con la mente ci spingiamo nell’estasi di argomenti e supposizioni, sui quali è difficile riuscire a formulare un giudizio o un commento che abbia una logica razionale senza che lo stesso sconfini nel paradosso della letteratura fantascientifica, come nel caso della figura di Mosè.
Chi era in realtà Mosè?
Secondo la tradizione ebraica, Mosè nacque dagli israeliti Amram e Iochebed, scampato alla persecuzione voluta dal faraone, fu salvato dalla figlia di quest’ultimo e educato alla corte egizia. Fuggì da essa a seguito di un omicidio commesso ai danni di un sorvegliante e si ritirò nel paese di Madian, dove sposò Zippora, figlia del sacerdote locale. Secondo la Bibbia nei pressi del monte Oreb ricevette la chiamata di Dio e, tornato in Egitto, affrontò il faraone chiedendo la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù; il faraone accoglierà la sua proposta a seguito delle dieci piaghe d’Egitto, ultima delle quali la morte dei primogeniti egizi.
Accampatosi con i suoi nei pressi di Yam Suf (Mare di Giunco), Mosè, su indicazione divina, divise le acque del mare permettendo così al suo popolo di attraversarlo e sommergendo infine l’esercito faraonico corso a inseguirli. Dopo tre mesi di viaggio il profeta raggiunse il monte Sinai, dove ricevette le Tavole della legge e punì la parte del suo popolo che si macchiò con il peccato del vitello d’oro. Giunto nei pressi della terra promessa, dopo quarant’anni di dura marcia, Mosè morì sul monte Nebo prima di entrarvi.
È considerato una figura fondamentale nell’Ebraismo, del Cristianesimo, dell’Islam, del Bahaismo, del Rastafarianesimo, del Mormorismo e di molte altre religioni. Per gli ebrei è il più grande profeta mai esistito, per i cristiani è colui il quale ricevette la legge divina, per gli islamici fu uno dei maggiori predecessori di Maometto. La sua storia è narrata, oltre che nelle Sacre Scritture, anche nel Midrash, nel De Vita Mosis di Filone di Alessandria, nei testi di Giuseppe Flavio.
Il Mosè della bibbia
Secondo i testi biblici, il nome Mosè significherebbe salvato dalle acque a ricordo del suo miracoloso ritrovamento nel Nilo e difatti l’ebraico Moshè ha un’assonanza col verbo che significa trar fuori, benché tutt’oggi la maggioranza degli studiosi preferisca credere che il nome derivi dalla radice egizia Moses, che significa figlio di o generato da come possiamo ad esempio vedere negli egizi Thutmosis (figlio di Thot) o Ramses (figlio di Ra). In linea con questa tesi e mancando il nome del padre Mosè significa semplicemente bambino quale vezzeggiativo di figlio.
L’interpretazione classica del Midrash identifica Mosè come uno dei sette personaggi biblici chiamati con diversi nomi. Gli altri nomi di Mosè erano difatti: Jekuthiel (per sua madre), Heber (per suo padre), Jered (per Miriam), Avi Zanoah (per Aronne), Avi Soco (per la sua balia), Shemaiah ben Nethanel (per il popolo d’Israele). A Mosè sono anche attribuiti i nomi di Toviah (quale primo nome) e Levi (quale nome di famiglia), Mechoqeiq (da legislatore) ed Ehl Gav Ish. Il nome egizio Moses che significa, come già detto, figlio o protetto da, fu dato al profeta dalla figlia del faraone, quando fu ritrovato dalla stessa sulle rive del fiume. Il nome prese poi il significato di trarre fuori solo in seguito, quando Mosè liberò il popolo attraverso le acque del Mar Rosso.
Studi e ricerche passati sul personaggio
Anche Giuseppe Flavio cita quest’etimologia. Alcuni studiosi ebrei nel medioevo ipotizzarono che il nome di Mosè fosse in realtà stato tradotto dagli autori della Bibbia da un termine egizio che significasse trarre fuori. Secondo la tradizione islamica, il suo nome, Mūsā, deriverebbe da due parole egizie: Mu che significa acqua e sha che equivale a giunco o albero, poiché la sua cesta rimase incastrata fra i giunchi presso la casa del faraone.
Nel 1887, un aristocratico giornalista russo di nome Nicolaj Aleksandrovič Notovič, noto come Nicolas Notovič o Notovitch, il quale scrisse un libro dal titolo “Vita di Sant’Issa, il migliore dei Figli degli Uomini”, che riuscì a pubblicare soltanto nel 1894 nella versione francese col titolo La vie inconnue de Jesus Christ (La Vita sconosciuta di Gesù Cristo), che alla fine del XIX secolo scosse profondamente le fondamenta della Chiesa di Roma. Notovitch tra le tante supposizioni e trascrizioni, nel raccontare la vita di Gesù, fa riferimento anche a Mosè. Scrisse:
[…] Il nuovo Faraone aveva due figli, il più giovane dei quali era Mossa (Mosè), che era buono e compassionevole. Gli eruditi di Israele che avevano insegnato a Mossa diverse scienze, gli chiesero di intercedere in loro favore presso il faraone. Il faraone diede a Mossa l’ordine di portare in un’altra città, lontana dalla capitale, tutti gli schiavi ebrei. Mossa li condusse invece nella terra che essi avevano perduto con i loro numerosi peccati. Diede loro delle leggi, e ingiunse loro di pregare sempre l’invisibile creatore. Il regno degli Ebrei divenne il più potente di tutta la Terra (ai tempi di Salamone) […].
Lo Shamir
La maggioranza degli studiosi sostiene che tutto il racconto di Notovitch è un falso ben organizzato dall’autore, mentre altri, come Fida M. Hassnain e la scrittrice Elizabeth Clare Prophet, quest’ultima, in un suo libro, riunisce le affermazioni di quattro testimoni oculari sull’esistenza dei rotoli tibetani, che nel loro insieme, rivelano i dettagli del pellegrinaggio di Gesù da Gerusalemme all’India.
Tuttavia, molti ricercatori tra cui Mauro Paoletti, ex membro del CUN (Centro Ufologico Nazionale), ha posto in correlazione tutte le informazioni raccolte, tramite i numerosi contatti nazionali e internazionali, inerenti alle origini dell’uomo e della civiltà, dedica molto spazio nel suo libro ”La scelta degli antichi astronauti”, edizioni Xpublishing, di Roma, alla figura di Mosè.
Paoletti, non fa nessun riferimento al bastone di Mosè, ma gli attribuisce uno strumento tecnologico, conosciuto come lo Shamir, una sorta di un marchingegno laser, che la scienza moderna ha scoperto soltanto qualche secolo addietro.
Lo Shamir, secondo la mitologia ebraica, fu forse, quindi senza certezza per la traduzione, una sorta di “verme di luce” leggendario che tagliava le pietre per il Santuario. Altre fonti ebraiche indicano con quel nome un mistico strumento usato da re Salamone per la costruzione del tempio, al posto degli strumenti di ferro.
Lo Shamir ed il tempio di Salomone
Nel dizionario ebraico, Shamir vuol dire: diamante, finocchio o paliuro. Riferito in tutto il Talmud e il Midrashim, lo Shamir era noto per essere esistito al tempo di Mosè, come una delle dieci meraviglie create alla vigilia del primo sabato, prima che YHWH finisse la creazione. Mosè avrebbe usato lo Shamir per incidere le pietre Hoshen (corazza sacerdotale) che erano state inserite nel pettorale di Aronne. Salomone, consapevole dell’esistenza dello Shamir ma ignaro della sua posizione, commissionò una ricerca che portò alla luce un “chicco di Shamir delle dimensioni di un grano d’orzo”.
Nelle tradizioni degli artigiani che al tempo di Salomone utilizzassero lo Shamir nella costruzione del Tempio di Salomone. Il materiale da lavorare, che fosse pietra, legno o metallo, è stato influenzato dall’essere “mostrato allo Shamir”. Seguendo questa linea logica (tutto ciò che può essere “mostrato”, deve avere occhi per vedere), i primi studiosi rabbinici descrissero lo Shamir quasi come un essere vivente. Altre fonti antiche, tuttavia, lo descrivono come una pietra verde. Per la conservazione, lo Shamir doveva essere sempre avvolto nella lana e conservato in un contenitore di piombo; qualsiasi altro scatola sarebbe esploso, disintegrando ogni cosa nel suo raggio d’azione. Un’altra leggenda racconta che lo Shamir fosse stato perso o avesse perso la sua potenza (insieme al “gocciolamento del favo” di Nabucodonosor nel 586 a.C.)
La terra promessa
Tuttavia nel 1994, fu dato alle stampe un libro dal titolo “Sulle tracce di Gesù l’Esseno”, scritto da Fida M. Hassnain, un emerito professor Hashimita, d’origine indiana, appartenente al “Movimento per la Riconciliazione Mondiale delle Religioni”, ed esponente della filosofia yoga a livello internazionale, che a proposito di Mosè scriveva:
Lo storico Abdul Kadir, nel suo Hashmat-i-Kashmir (manoscritto persiano n.42, di proprietà della Royal Asiatic Society of Bengala, Calcutta, f. 7. Nota di Fida Hassnain) riporta che Hazrat Mosa [Mosè, nota di Fida Hassnain] è seppellito a Booth, sulla collina di Nebo a Bandipor. George Moore (autore del libro “The lost Tribes”, Logman Green, London, 1861, nota dell’autore), che condusse un’esauriente ricerca sulle Tribù Perdute, è dell’opinione che Mosè sia venuto in Kashmir a predicare perché aveva fallito fra i figli d’Israele.
Il Kahmir
Lo, propendo invece per l’opinione che, se Canaan era la Terra Santa dei Semiti, la valle del Kashmir avrebbe anche potuto essere una Terra Promessa. E sempre in Kashmir, dichiara Hassnain, sarebbero custodite due importanti reliquie appartenute a Mosè: […] una è nota come Assa-i-Mosa, in altre parole il bastone di Mosè, e l’altra è la Ka Ka Pal, ovvero la pietra di Mosè. Ad Aish-Muqam in Kashmir, sull’alto sperone di una collina, vi è la tomba di Zain Rishi, dov’è conservato, tra le altre reliquie, il bastone, Assa-i-Mosa. Questo bastone di legno è esposto al pubblico in periodi di calamità, quali inondazioni o epidemie. Alcuni studiosi hanno associato Aish-Muqam con Issa, ovvero Gesù, e ritengono quindi che questo bastone sia appartenuto a Gesù.
In un’opera persiana, il Rishi Namah, ovvero “il libro che riguarda le tombe dei Rishi (Santi), si dice che Issa abbia visitato questo luogo. L’altra reliquia è il Ka Ka Pal, ovvero la pietra di Mosè, che si trova nel recinto del tempio di Shiva a Bijbehara in Kashmir. […] nel voler verificare la leggenda secondo la quale il Ka Ka Pal può essere sollevato da terra con undici dita. Il custode chiamò undici persone, chiedendo a ognuno di noi di mettere un dito sulla pietra e di recitare le parole “Ka Ka Ka”; seguimmo le sue istruzioni e, con nostra sorpresa, la pietra si sollevò a novanta centimetri da terra. Riprovammo con dieci dita, ma la pietra ovale, che pesa circa quaranta chili, non si sollevò. KAh significa “undici” in Kashmir e Kaka corrisponde a “persona onorata”, e può riferirsi a Mosè.
A questo punto c’è da chiedersi quali fossero le conoscenze di Mosè e perché tutti i testi ebraici non menzionano la presenza di Gesù e di Mosè nel Kashmir?
Ciò non toglie che esiste una voluminosa documentazione custodita nei monasteri tibetani del Kashimir, non solo né attestano la presenza, ma custodiscono due importantissimi reperti storico-religiosi legati a Mosè: Assa-i-Mosa, cioè il bastone di Mosè, che secondo la tradizione locale sarebbe custodito ad Aish-Muqam in Kashimir, nella tomba di Zain Rishi; l’altra è la Ka Ka Pal, cioè la pietra di Mosè. Potrebbe quest’ultima riferirsi allo Shamir citato nei testi ebraici?
Quello che fino adesso ho raccontato è soltanto una piccola parte di tutte quelle informazioni che non corso della mia ricerca ho acquisito per chiarire determinati scenari storici e mitologici le cui connessioni mi hanno permesso di riempire molte lacune storiche sulla figura del dio Adranòs, una divinità di origini aliene, presente sul suolo siciliano dal II millennio a.C. Questo e molto altro ancora lo trovate nel mio libro “Le strade nei cieli degli Anunnaki”, in vendita su Amazon.it