La Kabbalah – Wikipedia è tema che ho voluto sempre affrontare, non solo perché sono attratto dalla mistica ebraica, ma perché amo la storia e la cultura di quel popolo. Certo è che trattare un tema come la Kabbalah da autodidatta non è affatto semplice se ovviamente non si hanno delle basi solide. Qualcosa indubbiamente si potrà imparare, ma non si potrà impararne completamente l’essenza, ed è per questo che questa volta ho voluto ospitare sul sito della federazione ufologica italiana la scrittrice, ricercatrice, nonché esperta di Kabbalah, la dottoressa Maria Rita Marcheggiani.
Simone Leoni: Dottoressa Marcheggiani chi è lei? Cosa fa nella vita? Ma soprattutto possiamo definirla a tutti gli effetti una Kabalista?
Maria Rita Marcheggiani: Ho molta difficoltà a parlare per etichette, ma in questa sede potrei definirmi una ricercatrice spirituale e una divulgatrice del sacro, visto che sono queste le principali attività a cui mi dedico.
Infatti, nonostante in passato abbia lavorato come Psicologa e Terapista ABA – VB e sebbene abbia ricevuto persino una formazione come Consulente in Naturopatia Tradizionale e Floriterapia di Bach, negli ultimi anni mi sono dedicata principalmente all’esegesi della Bibbia, tanto da conseguire anche il titolo di Baccelliere in Biblistica. Attualmente, dopo l’approdo nell’ampio settore dell’esoterismo occidentale, i miei interessi si sono rivolti essenzialmente alla Kabbalah, tanto da mettere a punto un nuovo approccio allo studio e alla pratica della sapienza kabbalistica noto come Kabbalah Occulta.
Simone Leoni: Ecco veniamo subito alla prima domanda. Cos’è la Kabbalah? E in che contesto storico nasce?
Maria Rita Marcheggiani: Con Kabbalah o Qabbala o Cabalà, dal termine ebraico cabal קַבָּלָה ossia “ricevere” e “mettere in corrispondenza”, si indica generalmente il patrimonio delle dottrine mistiche ed esoteriche giudaiche relative a Dio e al Cosmo. Esse sono riscontrabili, essenzialmente, a partire da un attento e meditato studio della Torah scritta ed orale.
Secondo la tradizione, le fondamenta di tale sapienza sarebbero state rivelate dal Signore già ad Adamo e si esprimerebbero pienamente, almeno da un punto di vista simbolico, nelle istruzioni fornite a Mosè per la costruzione del tempio mobile nel deserto. Sebbene molti kabbalisti ebrei neghino la possibilità di un qualunque sviluppo del corpus sapienziale kabbalistico, rimanendo ancorati all’idea della rivelazione primordiale, l’indagine storiografica dimostra un’evoluzione lunga e complessa della Kabbalah, che affonda le sue radici nella conclusione del giudaismo del Secondo Tempio per poi aprirsi a tutta una serie di influenze provenienti da ambienti ben lontani da quello giudaico.
In questo modo, a partire dal medioevo sino ad oggi, si è giunti inevitabilmente ad uno scenario variegato e complesso, caratterizzato dal fiorire di innumerevoli tradizioni sincretiche, perlopiù di tipo cristiano, ermetico e magico, che reinterpretano i testi ebraici in maniera nuova ed originale, influenzata ovviamente da tendenze di pensiero più moderne. E’ in questo contesto che si colloca la Kabbalah Occulta, un meta – sistema conoscitivo teoretico ed applicativo che si propone di sostenere ciascun individuo nel suo percorso evolutivo alla scoperta di Dio, dell’Universo e di Sé nonché di quel cosiddetto “Mondo Invisibile” che l’approccio scientifico non è ancora in grado di spiegare pienamente.
Simone Leoni: Lei è autrice del libro Introduzione alla Kabbalah occulta ( Tipheret editore, collana Shekinah). Esiste un motivo particolare per aver scelto questo titolo? Cioè sembra far intendere che esista una Kabbalah per tutti e un’altra prettamente per gli “iniziati”. Mi sbaglio?
Maria Rita Marcheggiani: Nella sua costituzione originaria, che è essenzialmente ebraica, la Kabbalah resta inevitabilmente appannaggio di una ristretta cerchia di individui, che sono oggi come ieri i principali simbolisti del giudaismo rabbinico.
Questi ultimi, hanno imposto ogni sorta di limitazione ai loro insegnamenti, prestando un’attenzione quasi ossessiva, ad esempio, verso l’età degli iniziati o ancora alle qualità morali da loro richieste.
Secondo alcuni studiosi, primo fra tutti Yehuda Ashlag, la tendenza a nascondere certe conoscenze fino ad occultarle ai più non sarebbe dovuta tanto all’orgoglio o alla presunzione, quanto piuttosto dall’umano timore di un uso improprio di certe pratiche.
E’ proprio per questa ragione, lo spiega bene Scholem, che persino il semplice studio della Kabbalah arrivò ad essere vietato per un periodo lungo più di mille anni. Il proibizionismo, in ogni caso, non è bastato a contenere la diffusione della Kabbalah nel tempo e nello spazio, al punto che dal XIII secolo in poi si assiste ad un vero e proprio processo di disseminazione dei suoi principi fondamentali e delle sue pratiche mistiche. Tale materiale costituì una fonte di riferimento per moltissimi studiosi, esoteristi e occultisti degli ambienti occidentali extra – giudaici, i quali li inserirono nei loro testi fondendoli con idee provenienti da altre tradizioni e correnti di pensiero.
Con la mia opera mi sono preoccupata di fare una cosa simile: mettere a punto una sorta di “Kabbalah Universale” in grado di sostenere ogni individuo di desiderio e volontà nella scoperta di tutta una serie di conoscenze generalmente nascoste ai più ma assolutamente necessarie per risvegliare la propria coscienza.
Simone Leoni: Quindi cosa espone nel suo libro? Ci può dare qualche perla di “Saggezza”?
Maria Rita Marcheggiani: Nel mio libro, frutto di anni di ricerca e di pratica, mi propongo sostanzialmente di guidare il lettore alla scoperta libera ed autonoma del Kabbalah che, da complesso di insegnamenti segreti dell’ebraismo rabbinico, viene a riconfigurarsi come un approccio conoscitivo di più ampio respiro, utile a tutti coloro che desiderano scoprire i Misteri di Dio, del Cosmo e di Sé fino farne un’opportunità di crescita personale e di evoluzione spirituale.
Oltre ad indagare il contributo offerto dai Grandi Maestri Passati, custodi dell’antica sapienza tradizionale medio – orientale, infatti, esso espone anche una serie di conoscenze più recenti, tipiche dell’esoterismo occidentale, che permettono finalmente di far luce su concetti troppo spesso trascurati nei testi di più ampia divulgazione, primi fra tutti la cosiddetta “questione del Male”.
Per questa ragione, in “Introduzione alla Kabbalah Occulta” si può trovare una trattazione completa di tutte le manifestazioni dell’Essere, non solo quelle classiche legate al simbolismo della luce, ma anche quelle relative al cosiddetto “lato oscuro”, il che giustifica un’analisi estremamente attenta e dettagliata dell’Albero Qliphotico e ai suoi Spiriti.
Simone Leoni: Lo Zohar, il Sepher Yetzirah e altri testi della mistica ebraica, come il libro di Raziel, che nesso hanno con il concetto di Kabbalah?
Maria Rita Marcheggiani: Quelli da te citati sono tutti testi fondamentali della tradizione esoterica ebraica, poiché si pongono come la summa di tutti gli insegnamenti sapienziali kabbalistici, inclusi certuni che, almeno inizialmente, facevano parte della sola tradizione orale.
Simone Leoni: Nel Sepher Yetzirah che ho a casa ( scritto da Aryeh Kaplan, edizione Spazio interiore, II edizione anno 2019), si parla di un termine che io non avevo mai sentito, ovvero Ain Sof, l’infinito, che poi altro non sarebbe che il nome di Dio. Dico bene?
Maria Rita Marcheggiani: Nel Sepher Yetzirah il termine Ain Sof si riferisce a Dio nel senso di “ciò che non ha fine” ossia Essere Infinito, ragion per cui costituisce un Nome che è al di là di tutti gli altri Nomi Divini. Quando Dio viene chiamato Ain Sof, pertanto, si fa riferimento al fatto che non esiste dimensione spaziale o temporale nel quale Egli cessa di esistere.
Simone Leoni: Ma non era Yhaweh?
Maria Rita Marcheggiani:Ain Sof non è il Nome proprio di Dio, ma un’espressione con cui si intende l’Essere Divino al di là di qualsiasi impulso verso la Creazione. Viceversa, il Tetragramma è più specificatamente il Nome del Dio Rivelato, ossia dell’Essere Divino in relazione alla Creazione. Yhaweh o YHWH יהוה, infatti, pur contemplando gli attributi dell’eternità (tant’è che le lettere che lo compongono sono le stesse che caratterizzano i tre tempi del verbo “essere” in ebraico), va a calarli nella materia (tant’è che le lettere che lo compongono sono quattro). Non a caso, in molti ambienti iniziatici ci si riferisce al Grande Architetto come a YHWH, non certo come ad Ain Sof.
Simone Leoni: Ecco ci può spiegare perché esistono svariati nomi di questo essere? Quale è il loro scopo, semmai ce ne fosse uno?
Maria Rita Marcheggiani: Dio viene chiamato con molti Nomi poiché non esiste parola che possa contenerlo pienamente rendendone l’Essenza nella sua interezza. Ciascun Nome Divino, pertanto, va inteso come l’espressione di uno degli infiniti aspetti dell’Essere, tutti parimenti sacri e santi. Riferirsi ad un Nome piuttosto che ad un altro, in questo modo, ci permette di focalizzare su uno specifico attributo del Creatore senza, per questo, tralasciare la consapevolezza che si tratti di un’Entità più complessa.
Simone Leoni: Il concetto Kabbalistico può trovarsi anche in altre culture o è una prerogativa dell’ebraismo?
Maria Rita Marcheggiani: Probabilmente, se la domanda venisse posta a dei kabbalisti ortodossi, questi risponderebbero che la Kabbalah è una prerogativa ebraica. Tutto ciò, in effetti, è coerente sia con la già citata idea di una rivelazione sapienziale da parte di Dio alle prime generazioni sia con la concezione della Torah come la forma d’espressione più alta della Potenza Divina.
Tuttavia, concezioni e simboli fondamentali della Kabbalah ebraica possono essere rintracciati anche altrove, trasversalmente nel tempo e nello spazio, il che è ampiamente dimostrato non solo dalla critica storico – letteraria, ma anche da numerosi ritrovamenti archeologici. In effetti, troviamo alcuni elementi del sapere kabbalistico anche in luoghi assai lontani dal bacino medio – orientale e in epoche ben più antiche rispetto a quella in cui ha iniziato a prender forma il monoteismo patriarcale. E’ per tale ragione che, nel corso della mia attività, ho spaziato dallo studio della cosmologia norrena a quello dell’Egitto Faraonico che in effetti, sembrano condividere così tanto materiale con la Kabbalah ebraica che risulta davvero difficile pensare a semplici casualità.
Simone Leoni Io sinceramente parlando non ho capito ancora bene l’utilizzo della Kabbalah, del Sepher Yetzirah o degli altri testi già menzionati. Ho notato che c’è molta geometria e tanti numeri. Quindi le chiedo, a cosa serve tutto ciò se effettivamente questa dottrina ha risvolti mistici e spirituali? Ce lo può spiegare?
Maria Rita Marcheggiani: Le lettere costituiscono l’elemento primo di ogni linguaggio, incluso quello della Creazione. Conoscerne il valore, analizzarne le combinazioni e identificarne le corrispondenze, in questo modo, costituisce il punto di partenza non solo per comprendere più pienamente l’Essere Manifestato, ma anche per accedere all’Essere Manifestante. Le lettere ebraiche, in particolare, non vanno intese alla stregua di un qualunque alfabeto, ma in qualità di un sistema simbolico complesso mediante il quale il trascendente viene finalmente a svelarsi nella sua più intima essenza. Tale sistema, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, è di natura universale, giacché a ciascuna lettera può essere ricondotto un valore numerico preciso.
Permutare le lettere ebraiche in numeri arabi, ossia passare dal Linguaggio della Creazione alla Matematica della Creazione, consente di aprirsi ad una nuova opportunità di esegesi da cui scaturiscono un’infinità di possibilità conoscitive. E’ proprio per tale ragione che molti kabbalisti, non solo ebrei, hanno messo a punto, nel corso dei secoli, svariati metodi e tecniche che, partendo dalla corrispondenza tra lettere e numeri, si propongono di scoprire tutta una serie di messaggi profondi nascosti nella Bibbia. Testi come il Sepher Yetzirah non fanno altro che ricordarci l’importanza della lettera e del numero nell’opera creativa di Dio, sottolineandone il valore più intimo ed essenziale.
Simone Leoni: Nel suo libro parla della dottrina della concatenazione. Cos’è esattamente? A cosa si riferisce?
Maria Rita Marcheggiani: Richiamandosi al contributo del kabbalista ebreo Isaac Luria, la Kabbalah Occulta ritiene che alla base della configurazione dell’attuale scenario esistenziale vi sia un alternarsi continuo ed ininterrotto di Tzimtzum צמצום, un evento con il quale Dio si ritrae nel Suo Mistero per poi esplodere nella Sua Potenza, e di Qav קו , un processo di canalizzazione dell’energia creativa Divina Aur אור,. E’ proprio la catena degli Tzimtzum e dei Qav che consente il divenire della realtà, vale a dire lo sviluppo del Progetto Divino attraverso la Creazione dei Mondi עולמות. La dottrina della concatenazione o Seder Ha Hishtalsheluth סדר השתלשלות , quindi, si propone di spiegare il modo in cui si passa dalla pura forza vitale divinaalle diverse manifestazioni dell’Essere.
Simone Leoni: Anche la corrispondenza tra le Sefirot e i Chakra viene trattata nel suo saggio. Ma cosa sono esattamente le Sefirot ? E che collegamenti hanno con i Chakra?
Maria Rita Marcheggiani: Le Sephiroth סְפִירוֹת sono i nuclei essenziali che costituiscono gli Alberi dell’Esistenza, ossia le configurazioni sacre che sintetizzano la Creazione ed il Creato. In questo modo, esse costituiscono non solo aspetti fondamentali con cui la Divinità emana sé stessa, ma anche gli attributi propri della realtà.
Proprio per tale ragione, lo studio delle Sephiroth e delle modalità con cui esse operano costituisce una conditio sinequa non per la conoscenza dell’Essere Manifestante e Manifestato. Come sottolineato dai kabbalisti ebrei, tale studio si fonda su un’analisi multi – livello delle Sephiroth che ne contempla gli stadi del numero, o Mispar, del racconto, o Sippur, e della pietra preziosa, o Safir.
Tuttavia, a questa indagine se ne possono affiancare molte altre, come dimostrato dal fiorire di un’infinità di sistemi di corrispondenza che attribuiscono alla Sephirot una molteplicità pressoché infinita di significati. Uno dei parallelismi più recenti è quello che pone le Sephiroth in relazione ai Chackra o चक्र , intendendoli entrambi come le tappe del percorso ascensionale individuale. Tale sforzo, per quanto affascinante, ha purtroppo portato troppo spesso a proposte riduttive e banalizzanti sia delle tradizioni occidentali che di quelle orientali. Per questa ragione, nel mio libro ho riportato una proposta che rifiuta l’idea di una simmetria diretta tra le due cose, proponendo piuttosto la prospettiva di una corrispondenza di senso, più complessa e bilanciata.
Simone Leoni: La dottrina che lei studia da anni, può spiegare l’origine del male?
Maria Rita Marcheggiani: Naturalmente, caro Simone. Come potrai immaginare, esistono diverse opinioni in merito e ciò dipende essenzialmente dal modo in cui il Male viene inteso. La Kabbalah Occulta, in particolare, si riferisce al Male come un’alternativa al Bene. Al tempo stesso, però, il Male costituisce un sistema approvato dalla Divinità, un elemento che fa parte dello stesso Disegno Divino, tant’è che il Signore ha concesso a ciascuna creatura la possibilità di scegliere per sé stessa, ossia il libero arbitrio.
E’ proprio questa la ragione per cui l’origine e lo sviluppo del Male possono essere indagate facendo riferimento allo stesso glifo sacro e santo dell’Albero e, in particolare, alle sue due configurazioni dimensionali dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male e del Piccolo Albero del Male. Chiaramente, parlare in questi termini ci porta inevitabilmente a fare i conti con il concetto della Caduta, vale a dire la rottura di un equilibrio che giustifica il progressivo allontanamento dall’Assoluto.
Simone Leoni: Se tutto proviene da Dio, come si possono definire, in senso Kabbalistico ovviamente, gli angeli caduti?
Maria Rita Marcheggiani: Secondo la Kabbalah Occulta, gli Angeli Caduti, detti anche Grigori o Vigilanti, sono solo alcuni dei demòni facenti parte del cosiddetto Mondo del Basso. Si tratta, in particolare, di Spiriti Sephirotici che sono decaduti dal proprio stato di Grazia originario in seguito ad un particolare esercizio del libero arbitrio.
Il loro esilio dall’Assoluto, in questo modo, non è soltanto una punizione conseguente all’aver scelto di sfidare Dio, ma anche l’ovvia conseguenza di questa stessa volontà di allontanarsi dalla prospettiva del Bene.
Simone Leoni: Avrei tanto da domandarle ma ovviamente ci dobbiamo limitare con queste ultime cinque domande. La Kabbala e la magia: esiste un connubio tra di loro o sono discipline completamente distinte?
Maria Rita Marcheggiani: La risposta varia a seconda del significato che si dà al termine Magia.Se pensiamo alla Magia come a un’opportunità per modificare la realtà materiale e immateriale a partire da un’intenzione nobile e profonda, la Kabbalah va intesa indubbiamente come un sistema magico che fa della Parola il suo strumento regio.
Tuttavia, se ci limitiamo a guardare alla Magia così come si fa comunemente oggi, riducendola al volgare esercizio di pratiche vuote e meccaniche volte all’ottenimento di un qualche bene tangibile o meramente personale, ecco allora che non c’è nulla di più distante tra questo ambito e la Kabbalah.
Per mia esperienza personale, posso tranquillamente affermare che la pratica della Kabbalah, nel corretto svolgimento di rituali estremamente precisi, permette davvero di esercitare un cambiamento positivo in noi e tutt’intorno a noi.
Chiaramente, perché i risultati della propria opera siano davvero benefici, ossia esenti da rischi piuttosto che da effetti collaterali, è opportuno agire sempre nel rispetto di sé stessi, del prossimo e, ovviamente, di Dio.
Simone Leoni: L’ormai deceduto Rabbi Arie Ben Nun in un video che circola su youtube,dice che con la Kabbalah si può cambiare il proprio nome modificandone così il proprio destino. Come va intesa questa dichiarazione? Possibile che la vita di ognuno di noi dipenda semplicemente da come ci chiamiamo?
Maria Rita Marcheggiani: La concezione di Rabbi Arie Ben Nun si richiama al modo in cui gli ebrei intendono i nomi. Nella moderna cultura occidentale, i nomi vengono spesso intesi come una semplice sequenza di lettere utile per indicare qualcosa o qualcuno. Nelle culture più antiche, come quella giudaica ma anche egizia, invece, le lettere e il modo in cui vengono composte sono espressione della nostra energia vitale.
Essi, pertanto, permettono di esprimere e, quindi, di accedere ad un’essenza più profonda delle cose.
E’ in questo senso che il nome si fa “germe di vita”, come dichiara Annick de Souzenelle, vale a dire portavoce di quel che siamo nel profondo e, pertanto, anche della nostra missione.
Cambiare nome, in questo senso, è un’opportunità di auto – trasformazione che consente alla propria vera essenza di manifestarsi in tutta la sua potenza.
Non si tratta di una scelta di vanità, bensì di una vera e propria strategia utile e necessaria perché ciò che siamo davvero possa affermarsi finalmente a sé stesso e nel Mondo.
Simone Leoni: Altra questione interessante è quella riguardante la reincarnazione, un tema ricorrente in alcuni religioni orientalistiche, ma anche per una minoranza ebrea. In questo caso la Kabbalah, cosa può dirci? Siamo destinati a morire definitivamente dopo la vita, o verremo di nuovo alla “Luce”?
Maria Rita Marcheggiani: Il Gigul o anche Gigul Neshamot o ancora Gigulgai ha Neshamot, in ebraico גלגול הנשמות ossia “ciclo delle anime”, è un concetto assente nella Torah scritta. E’ tuttavia verosimile che esso fosse contemplato nella tradizione orale, tanto più che la credenza in una componente immortale dell’uomo è universale.
In ogni caso, i primi accenni tangibili a una vera e propria “teoria della reincarnazione” si hanno già in alcuni testi kabbalistici antichi, come lo Zohar.
Allo stesso modo, ne parla Isaac Luria, il quale sosteneva che la vita non è che una tappa del cammino dell’anima, la quale sarà destinata a tornare più volte sulla Terra al fine di perfezionarsi e, infine, essere ricevuta nel Palazzo Celeste. La Kabbalah Occulta accetta ampiamente questa visione, mostrandosi vicina anche alle concezioni buddista ed induista. Ciascuno di noi, quindi, è destinato a rinascere ancora ed ancora, almeno finché non sarà pronto per la visione di Dio.
Simone Leoni: C’è dell’altro che vorrebbe suggerirci?
Maria Rita Marcheggiani: Vorrei semplicemente augurare ogni bene a ciascun lettore. In questo momento così difficile, credo che la cosa migliore per concludere questo bel momento insieme sia un pensiero di fratellanza, forza, coraggio e speranza.
Simone Leoni: Dottoressa Marcheggiani, io la ringrazio tantissimo per essersi prestata a questa intervista. Spero vivamente di averla ancora qui con noi per parlare ancora di Kabbalah. Di sicuro questa sarà una richiesta inusuale, ma lei sà che la curiosità dell’essere umano non ha limiti. Visto che lei è l’esperta, il valore ghematrico del mio nome e cognome, qual’è? Nella kabbalah a cosa corrisponde?
Maria Rita Marcheggiani: Il nome Simone deriva dal nome ebraico Shimon, שִׁמְעוֹן, basato sul verbo ascoltare שָׁמַע. Nella Bibbia ricorre molte volte e sta ad indicare sia “colui che ascolta (la Parola)” sia “Egli ha ascoltato”.
Mi pare che il nome ti rispecchi molto, almeno se penso al lavoro che hai svolto con me oggi: questa intervista, infatti, è uno scambio che nasce da una tua apertura, uno scambio che, attraverso la parola, ti ha permesso di relazionarti a me, di accogliere il mio messaggio e di farne un’opportunità di crescita e cambiamento.
Tale significato è presente anche nelle singole lettere che compongono la matrice del tuo nome. La Shin o ש, il dente, è la prima madre che indica possibilità, cambiamento, rettificazione e costruzione.
Mem o מ, l’acqua, è la seconda madre ed allude all’idea dell’energia espressa come un’onda. Ayn o ע, l’occhio, invece, è la decima semplice e rimanda alla capacità di entrare nella profondità delle cose. Volendo fare una permutazione numerica, שָׁמַע = ע + מ + ש = 70 + 40 + 300 = 410 = 5.
Il codice 410 può essere in relazione con una molteplicità di parole della Bibbia ebraica che presentano lo stesso valore numerico, per cui non mi sembra il caso di avventurarsi in questa riflessione.
Possiamo però parlare del numero 5, che rimanda alla Sephirah Geburah e, con essa, alla dinamicità con cui si esprime la realtà attraverso il continuum distruzione – costruzione.
A tal proposito, ti invito a tener presente che, nello specifico dell’essere umano, il 5 è associato all’auto – espressione che, guarda un po’, scaturisce essenzialmente dalla facoltà di parlare e di ascoltare…due cose che Simone – lo abbiamo visto – pare faccia molto bene!