La storia di fantasmi nei boschi raccolta da più voci e che andremo a raccontare, prende vita nella piacentina Vernasca. In una casa sperduta, oggi diroccata, per l’esattezza.
Parla un testimone
“Vi ho abitato per vent’anni in quella casa di Vernasca, fino al 1980. Non ho mai assistito a nulla di strano, ma sono stato un’eccezione. Perché il luogo ha la fama di essere parecchio infestato dai fantasmi…”.
A parlare è Domenico, un signore di mezza età di Salsomaggiore Terme.
“La si incontra appena attraversato il torrente Stirone, ma non farti illusioni. A guardarla fa tristezza, tanto la strutturaè abbandonata e fatiscente.Ed anche paura, perché più di una persona ha dichiarato di aver udito versi agghiaccianti provenire da quella costruzione.
Tutto sembra essere nato tanto tempo fa, quando nella zona di Vernasca spadroneggiava un ricco possidente. Costui pretendeva il cosiddetto <iusprimaenoctis>, cioè esigeva che le giovani spose giacessero con lui la notte successiva alle nozze. La crudeltà dell’usanza era accresciuta dall’orribile aspetto dell’uomo. Era infatti brutto, vecchio, storpio e puzzolente.
Successe un giorno che una di queste spose, ovviamente vestita di bianco, proprio non ce la fece a sottomettersi. Preferì ammazzarsi con una pugnalata, piuttosto che copulare con il <mostro>. E da quel giorno si dice che il suo fantasma vaghi per la casa, o meglio quel che ne rimane, visto lo stato in cui si trova, in cerca di pace o di vendetta. Pare prediliga le notti di luna piena…”.
Mi sembra la solita storia di fantasmi inquieti.
“So cosa stai pensando… una leggenda… in realtà, la gente di Vernasca non lo crede affatto. E te lo dimostra quanto sto per raccontarti, successo quando ancora abitavamo nella casa. Me lo ricordo come se fosse oggi…
Un giorno mia moglie si vestì completamente di bianco. Erasola in casa. Ad un certo punto, passarono due signore dalla strada che l’affiancava. La via era posizionata proprio accanto alla finestra, quindi chi vi transitava poteva sbirciare al suo interno. Ebbene, una delle due donne, alla vista di mia moglie, si paralizzò dalla paura. <La fantasma! La fantasma!>, si mise ad urlare. E non c’era verso di farlamuovere da dove si era fermata. Il terrore le aveva paralizzato qualunque muscolo del corpo. Ci volle l’intervento di mia moglie che (non senza insistenze) si fece toccare dalla donna. Finalmente questa capì che era fatta di carne ed ossa. E, pur ancora scombussolata, si allontanò.
Ciò per dirti come l’idea del <fantasma vestito di bianco>sia ben radicata nel territorio di Vernasca”.
Le testimonianze si moltiplicano
Urge approfondire l’incredibile storia.
Contatto, così, un altro signore che abitò la casa (ora risiede nel vicino borgo di Trinità, sempre comune di Vernasca).
“Mio padre e mia zia mi raccontavano spesso di una fata, sì, proprio una di quelle creature a cui credono i bambini. Dicevano che si aggirasse nella enorme cantina che c’è ancora sottoterra. Non ricordo bene se l’avessero vista pure loro, ma sicuramente qualcuno l’aveva notata, ed in più di una occasione. Insomma, di fantasmi non me ne hanno mai parlato, ma questa storia della fata è ancora più curiosa.
E, dato che abbiamo citato la cantina, ti racconto una vicenda che, se misteriosa non è, risulta perlomeno curiosa. Dobbiamo tornare alla Seconda guerra mondiale. In quel buio localespesso si nascondeva un partigiano. Pensa che, una volta, andò laggiù un soldato tedesco perché <aveva mangiato la foglia>. Ma non trovò nulla, perché il partigiano si era nascosto dietro una botte talmente grossa che gli era stato sufficiente girargli attorno in sincrono con il militare per non farsi notare…”.
Non mi sono ancora ripreso dalla sorprendente rivelazione, che il gentile signore riattacca. “E poi… ma lo dico piano… qui negli anni Venti i Lusignani nascosero una pentola piena d’oro, che però nessuno ha mai trovato, nonostante nel tempo l’avessero cercata in molti”.
Insomma, tra fantasmi nei boschi, fate e tesori, non mi rimane che andar di persona a controllare la casa derelitta e misteriosa.
Ma, prima di lasciare il piccolo borgo di Trinità, mi fermo ad osservare una piccola chiesetta di cui avevo letto e che si incontra poco lontano dalla strada che porta al paesino di Borla, pure questo nell’esteso comune di Vernasca.
È un oratorio, per la precisione, di aspetto decisamente gradevole, figlio anche di una recente ed irrinunciabile ristrutturazione.
Sì, perché ormai cadeva quasi a pezzi, con l’acqua che entrava bellamente dal soffitto. E non si è trattato dell’unica opera risanatrice perché dal lontano 1400, periodo della sua edificazione, ha beneficiato di parecchi interventi a sua salvaguardia.
Comunque sia, già percorrendone il perimetro esterno, si incontra un’evidenza perlomeno curiosa.
Perché nei sui lati lunghi spiccano due pietre decisamente diverse dalle altre. Mostrano, infatti, un’apparenza biancastra che contrasta con quella color mattone dell’intera parete, e risultano spugnose.
Ne chiedo spiegazioni ad una signora anziana che ha l’aria di non essere mai andata molto lontano da quella piccola frazione. Mi guarda con sospetto (evidentemente non devono essere molti quelli interessati a questo piccolo oratorio, in ogni caso, la sua titubanza durerà un battito di ciglia).
“E cosa vuole che ne sappia… (NdA e ti pareva…) però, secondo me, vengono dalla vicina Vigoleno. So che lì ce ne sono tante fatte così. Poi, il perché siano finite qua e ne abbiano messe solo due… boh…”.
Comunque, si dimostra ben disposta al dialogo (in giro non c’è nessuno, quindi ben venga, soprattutto perché scopro che sa dove vengono custodite le chiavi della chiesetta).
“Visto che ci piacciono queste cose qui, venghi che gliela faccio vedere da dentro”.
Non posso che assecondarla…
Entriamo da una porticina laterale. L’interno è molto buio ma bastano pochi istanti per adattare la vista alla scarsa luminosità. Poi, parte “il fiume in piena”…
“Ah… se ci penso mi viene ancora da inversarmi… vede quell’altare? Non so da dove l’abbiano tirato fuori, ma quello originale era molto più bello. E chissà dove l’han rintanato”.
Sto per abbozzare una domanda, quando, lei, “riparte”.
“E la stessa fine l’han fatta fare ai banchi. Anche quelli li hanno cambiati e chissà dove han messo quelli che c’erano prima”.
Ormai rinuncio ad interromperla.
“Ah… il pavimento… una volta ce n’era uno di cotto, ora ci sono queste mattonelle moderne… e quello vecchio è rimasto sotto. Beh… almeno si sa dove sia andato a finire…”.
Si prende una pausa, forse perché sta ripensando a tutte le vicende che hanno coinvolto il piccolo oratorio. Così riesco a fare una (una sola) domanda, a cui risponde con inusitata prontezza.
“Cosa ci fa un’acquasantiera così in basso? In effetti, va bene per dei nani… sì, una volta le persone erano più piccole, ma mica così tanto… boh… e chi lo sa…”. Forse originariamente era in una posizione diversa e, poi, in fase di ristrutturazione è stata allocata in quella posizione come semplice necessità espositiva. Insomma, non serve più per bagnare le mani di acqua benedetta, piuttosto a memoria di un passato remoto. Questo spiegherebbe la presenza di un’altra acquasantiera in posizione più consona, sia come altezza che ubicazione nella pianta dell’oratorio (infatti, è subito a destra della porticina d’ingresso).
All’uscita della chiesetta mi fa una confidenza. “Vede quel caseggiato laggiù? C’era un convento, una volta, e nei suoi muri ci hanno trovato dei soldi quando l’han sistemato…”, afferma a voce sempre più bassa, quasitemesse di rischiar la vita a pronunciar quelle misteriose parole.
La cosa si fa interessante… ma ci pensa lei a smorzare subito il mio entusiasmo. “È ora che vadi a metter su la pentola…”. E, con queste parole, il mio “cicerone” si congeda.
Bene… allora è giunto davvero il momento di andare alla caccia della casa abitata dai fantasmi…
La visita alla casa
Una volta che si conosce la strada, la si trova facilmente. In caso contrario, si rischia di vagare inutilmente per il bosco. E la si nota proprio all’ultimo momento, quasi sbattendoci contro, tanto è ben nascosta dal fitto fogliame.
Appare davvero sinistrata, con il tetto in gran parte crollato. Inutile cercare di entrarvi. Roveti spinosi ed erba urticante (senza escludere le più che probabili vipere) distolgono anche il più motivato degli indagatori.
Provo a girarle attorno, percorrendo un ampio rialzo del terreno che sorge al suo fianco. Ed è così che ho la sorpresa. La casa, infatti, non è sola, ma ve ne sono ben due. La seconda, come avrò modo di scoprire successivamente, comprende il fienile e la nuova stalla. Seppur costruita in epoca più recente, non è in condizioni molto migliori della prima.
Una nuova incredibile testimonianza
Ma la parte più interessante di questa storia di fantasmi ambientata nella zona di Vernasca, sarà il colloquio con Danilo, testimone diretto di un fatto alquanto sinistro. Lo incontro nella sua casa di Salsomaggiore Terme.
“Negli anni Sessanta, durante il periodo estivo, era consuetudine che io passassi qualche giorno in quella casa, ospite di mia zia. Ero un ragazzino come tanti, senza pretese négrilli per la testa. Una notte, mi sono alzato per andare a fare la pipì. Allora non c’era un vero e proprio bagno, per questo mi ero abituato ad orinare nell’angolo di un ballatoio sopraelevato. Il posto mi piaceva perché era circondato da un grazioso portico, dal quale si poteva guardar giù, nel cortile.
Finiti i miei bisogni, mi sono girato, per ritornare a dormire. Ed è stato a quel punto che ho notato una figura biancastra. Si eraappena alzata dalla panca posta a sinistra della porta d’ingresso (e attraverso la quale ero appena passato, ma senza notare nulla di strano).
Si muoveva in modo così lento che ho potuto osservarla proprio bene (a dire il vero, anche grazie ad una splendente luna che illuminava il cielo). Era una donna, con un’ampia gonna che le copriva abbondantemente le gambe ed un grembiule sul petto. In testa portava un fazzoletto annodato ai lati.
Poi, ha iniziato a scendere le scale… ed io subito dietro… finché giunta al pozzo che c’era (o, forse, c’è ancora) ai suoi piedi è sparita. Non ho mai capito se sia semplicemente scomparsa oppure finita giù nel pozzo.
Sono rimasto lì qualche secondo, come inebetito, poi di corsa sono tornato a dormire. O meglio, sono rientrato nella mia stanza, perché quella notte di addormentarsi non se n’è più parlato.
La mattina dopo, ho riferito tutto a mia zia che è rimasta senza parole…
Comunque sono ben sicuro di quanto ti ho raccontato perché l’esperienza è stata talmente lunga, almeno un minuto, ed emozionante che non può essere stata una banale allucinazione”.
Che dire… quando i testimoni sono diversi e indipendenti qualcosa di vero sui fantasmi dei boschi di Vernasca ci deve pur essere…
Buonasera , sono di Trinità e conosco bene questa storia
Buonasera Andrea, dimmi pure, al momento gestisco io il sito.