Una storia di fate e di altre creature elementali,vissuta nei pressi di Castell’Arquato, venne divulgata dalla trasmissione televisivaMistero in una puntata di alcuni anni fa.
Da dove tutto è nato
In pratica, un giovane agricoltore di Vernasca, paese che dista pochi chilometri da Castell’Arquato,raccontò di aver notato alcune trecce nella criniera di uno dei propri cavalli, il bianco Lexus, e per due mattine consecutive.
Come non pensare, allora, ai folletti delle montagne che pare si divertano ad annodare la chioma di questi quadrupedi? Niente di nuovo, verrebbe da dire.
In realtà, la loro presenza si sarebbe palesata al testimone anche in altro modo. Il protagonista, infatti, raccontò di aver visto in una notte di luna piena, passeggiando per un bosco poco distante dal suo maneggio e tra il folto della vegetazione, quelli che apparivano come tanti minuscoli occhi.
Di fate, gnomi o folletti? Difficile dirlo. E se fossero stati tanti piccoli Mazapègul? Ricordo che con questo termine si vuol far riferimento ad un essere dal pelo grigio, un po’ gatto e un po’ scimmia, che ama portare in testa un berrettino rosso. Non solo, perché la tradizione racconta che è nientemeno che un “incubo”, cioè una di quelle creature che si posano sul ventre dei dormienti e che provocano orribili sogni (ma, soprattutto, che possiedono sessualmente le donne). Ma pare che il Mazapègulsappia anche essere affettuoso con gli animali della stalla, soprattutto gli equini, che al mattino si trovano coperti di sudore e adorni di trecce alle code e alle criniere.
Sul luogo dei fatti
Comunque sia, il bosco in cui l’agricoltore ha testimoniato i fatti è un luogo potenzialmente intrigante…
Così, tempo fa, io ed un gruppo di amiciappassionati di misteri decidiamodi farun sopralluogo nellazona, situata, come già ricordato, ad alcuni minuti d’auto dal paese di Castell’Arquato, precisamente fra le località di San Lorenzo e Bacedasco. Perché tutto avrebbe potuto succedere, magari di vedere delle fate o altre creature del bosco…
Curiosamente, il luogoè affettuosamente denominato “villaggio degli gnomi e dei folletti di santa Franca”. In realtà, c’è ben di più, e il nome non gli rende giustizia. E lì giunti se ne capisce il motivo. Perché imboccando il sentiero che porta al centro del bosco, si notano sulla destra diverse miniature di fate e pendagli di vario genere.
Ma andiamo in “cronaca diretta”.
Con il gruppo proseguiamo, addentrandoci sempre più nella macchia. Ciò che colpisce è la totale assenza di rumore. Gli animali del bosco sembrano assenti o come addormentati. Il buio è profondo, quasi solido. Solo alzando gli occhi si intravede fra le fronde degli alberi il manto del cielo che pare spruzzato da una polvere di diamanti (sì, l’atmosfera non incute timore, ma ispira poesia). Rimaniamo fermi per diversi minuti ad ascoltare il silenzio. Poi, ripartiamo lungo il sentiero.
Solo in un punto il bosco sembra animarsi. Ed è lì che udiamo chiaramente un persistente scricchiolio. Probabilmente, è il legno di un albero che sfoga l’energia di una tensione strutturale, pur in assenza di vento. Curioso, in ogni caso, che ciò avvenga in quell’unico luogo.
Ed i “nostri” folletti, le fate e le altre creature elementali dove sono finite?
Di esse neanche l’ombra (che al buio pesto sarebbe stato comunque difficile da rilevare…).
Nessun mistero, dunque?
Qualcosa accade
In realtà, un fatto curioso succede. Un componente del gruppo assicuradi aver ascoltato per alcuni secondi, intervallati da una breve pausa, una musica, definita da “cellulare”.
Come interpretare il fatto? Mi limito alle seguenti considerazioni.
Nessun altro ha udito qualcosa, pur essendo tutti sostanzialmente vicini. Ognuno ha spento il proprio telefonino, per evitare di interferire con le rilevazioni strumentali (a proposito, non hanno registratonulla di anomalo).
Il posto è sufficientemente isolato da poter escludere con certezza la presenza di altre persone, in ogni caso facilmente rilevabili, vista la profonda silenziosità del bosco.
La buona fede del testimone è fuori discussione.
Insomma, l’insolito ha fattocapolino anche in assenza di vere fate… e senza la luna piena…
Ritorno sul luogo dei fatti
Comunque, ho modo di tornare nel luogo in un momento successivo,facile da raggiungere visto che si trova a due passi da Castell’Arquato,per meglio osservare quanto intravisto quella notte: la cappella dedicata a santa Franca, protettrice della Val d’Arda.
E i modellini delle fate sono sempre lì ad accompagnare chi si avventura lungo il sentiero. Anzi, la chiara luce del giorno permette di osservare molti più particolari. Perché non ci sono solo slanciate fate, ma anche sornioni gnomi e diroccati castelli. E pure piccole scale e altrettanti minuscoli oggetti di legno. Insomma, pare davvero un villaggio in miniatura cristallizzato nel tempo.
Certo, vien da chiedersi chi si sia adoperato a posare questi modellini e se il nome del bosco, che come detto è “villaggio degli gnomi e dei folletti di santa Franca”, sia la conseguenza di quanto o piuttosto il contrario. Certo, la testimonianza iniziale fa pensare…
Ma torniamo alla cappella. Si presenta come un “cubo”, preceduto da un pronao a due colonne esterne.
Per raggiungere la piccola struttura, occorre attraversare il bosco fitto e selvaggio di cui abbiamo parlato, un bosco “planiziale” per la precisone. Ricordo che, con tale termine, si intende una foresta di alberi che si estende in una zona di pianura. Una rarità, quindi, visto che le zone pianeggianti sono perlopiù dedite all’agricoltura, ad uso abitativo o, semplicemente, a prato.
Comunque sia, la cappella nasce nel XIII secolo a seguito di un evento miracoloso e per merito dei Visconti. Poi, viene restaurata un paio di secoli dopo. Un certo giorno, succede dunque che santa Franca (della nobile famiglia Vitalta) transiti nel bosco di San Lorenzo con le sue amate pecore. E che cerchi una fonte d’acqua per le povere bestiole. Ma, gira di qua, spostati di là, non trova nulla per abbeverare le pecorelle. Però, si sa, quando ci si mette d’impegno, tutti i santi aiutano (a maggior ragione se, come in questo caso, si tratta di “colleghi”…). Così, Franca inizia a scavare a mani nude nella sporgenza di una roccia, fiduciosa nell’intervento della Provvidenza. E, in men che non si dica, ecco sgorgare una bella fontana di acqua fresca.
Nel frattempo, il tempo passa, eNapoleone arriva anche aCastell’Arquato. Per la precisione, corre l’anno 1806, quando sotto il suo governo si decide di distruggerla, con l’inevitabile sfratto dell’eremita e dei suoi due compari che la abitano (poi, chissà il perché, saranno giustiziati a Fiorenzuola).
Passa ancora qualche decennio e la cappella viene ricostruita, così come la fontana a lei dirimpettaia, distrutta nel XX secolo. Ed ancora oggi, dalla sorgente sgorga un’acqua considerata miracolosa, viste le tante testimonianze di chi malato è arrivato e guarito se ne è andato, ovviamente, dopo essersi ad essa abbeverato…