Alieni, eteree creature o cos’altro si aggira nella pianura parmense? Vediamo di capirne di più…
Siamo, dunque, lungo la via Emilia fra Fidenza e Parma, precisamente in località Castelguelfo, nel comune di Noceto. O, se vogliamo, nell’antico “Burgo Taronis”, nome che esprime un chiaro riferimento al vicino fiume Taro. Naturalmente, il nome la dice lunga su quale sia la maggiore attrattiva della zona. Un castello, ovviamente, anzi un imponente castello, che si adagia proprio lungo la citata via trafficata. Una volta si chiamava Torre d’Orlando (o Torre del Marchese) e si sa che venne costruita nel XII secolo come semplice pinnacolo a sorveglianza del guado del Taro, visto che nel medioevo transitava da quelle parti.
Poi, nel 1407 chi la conquistò, cioè Ottobono Terzi, la ribattezzò con il nome con cui oggi è conosciuta, cioè Castelguelfo (da cui il nome del paese che la ospita). Operazione compiuta non prima di averla bersagliata per sei giorni, unitamente a tutto quanto le era stato costruito attorno, con bombarde e catapulte, ammazzato tutti i suoi occupanti e distrutte le insegne imperiali, cioè ghibelline.
Con il tempo, il castello, perché ormai è di questo che si deve parlare, passò fra le mani di famiglie famose, come i Pallavicino, i Visconti ed i Farnese. Attualmente è privato e molto ben conservato, con la sua pianta quadrata, l’elegante cortile centrale ed annesso parco, così come le quattro torri ugualmente quadrate.
Non sembra serbare particolari misteri ma, alcune curiosità, sicuramente.
Si sa che custodiva dei diabolici, e a volte mortali, trabocchetti per ingannare i nemici e probabilmente anche un passaggio sotterraneo, che dal cortile interno portava fino al castello di Fontanellato, distante parecchi chilometri (anche se, sinceramente, risulta difficile da credere…).
Si parla anche di una tomba, mai localizzata. Tutto nacque dalla famiglia ligure dei De Luchi, che aveva fatto fortuna emigrando nell’America Meridionale. Uno dei suoi componenti tornò in Italia e, nella seconda metà dell’Ottocento, decise di acquistare il maniero dagli allora proprietari, cioè i baroni Profumo, in partenza per l’Inghilterra (o, meglio, dal Tribunale di Parma che l’aveva espropriato…).
Passato un po’ di tempo, lo raggiunse il fratello. Oltre alle classiche valigie e bagagli, portava con sé un manufatto decisamente inconsueto: l’urna contenente le ceneri dello zio. Arrivato al paese, si adoperò per farle cristianamente seppellire. Operazione che risultò decisamente improba.
Il motivo? La mancanza della bolletta di sdoganamento della “merce” e le regole del cimitero, che prevedevano la sepoltura delle sole ossa. Morale, dopo aver percorso le normali vie burocratiche, la famiglia decise di risolvere il problema a modo suo. Così, aprì un buco in uno dei tanti muri del castello e lì vi depositò le ceneri dello zio, ad imperitura memoria.
Veniamo ai “veri” misteri
Ma per trovare qualcosa di davvero inspiegabile occorre spostarsi di poche centinaia di metri. E tutto nasce da un colloquio, quasi casuale. Torniamo quei momenti…
“Quando me l’ha raccontato, piangeva”. La ragazza che ho di fronte si intristisce. È l’amica di colei che potrebbe aver vissuto un clamoroso “incontro ravvicinato del terzo tipo”con alieni o aver visto qualcosa dell’altro mondo.
Il tempo passa (ci vorranno alcune settimane), ma alla fine, pur con difficoltà, riesco a parlare con la testimone. Il motivo? Forse rivangare la storia le fa ancora male o, più semplicemente, non ha più voglia di parlarne. Ci vediamo ai margini di un parco. Mi permette di prendere appunti. È cortese, ma non mi concede troppo tempo. E rimaniamo in piedi.
“Era il 2005 o il 2006, ne sono sicura, perché in quegli anni ho lavorato a Collecchio. Tutte le sere tornavo a casa alla stessa ora, facendo la medesima strada. A ripensarci mi sembra di rivivere la scena…
Alle ore 19, come sempre, dunque, sono transitata da Pontetaro, poco prima di Castelguelfo, direzione Fidenza. Superato l’Hotel San Marco e prima del cavalcavia che c’è poco dopo, la mia attenzione è stata attratta da un qualcosa che, lì per lì, non sono riuscita a capire.
Mi spiego meglio. Non c’era più tantissima luce, ma quanto basta per osservare il panorama ad alcune decine di metri di distanza. E cosa ho visto? Una sorta di nebbiolina, di foschia.Il fatto è che era presente unicamente in quella posizione.
Incuriosita, ho rallentato, anche perché ho cominciato a notaredelle luci che brillavano attraverso di essa. Il fenomeno era proprio strano… anche perché, diciamocelo chiaramente, cosa ci facevano delle luci in mezzo alla nebbia ed ai margini di una strada così trafficata?
Così, ho deciso di parcheggiare l’auto e scendere per avvicinarmi a piedi.
Non l’avessi mai fatto… a quel punto la visione mi era molto più chiara. In mezzo ad un campo verde stavano ritte ed immobile tantissime figure scure. Parevano un esercito disposto in fila ordinate. I <soldati> sembravano avvolti in un lungo mantello e con il capo protetto da un cappuccio. A giudicar dalla postura, i volti erano tutti rivolti verso la strada. Poi ho guardato ancora meglio. Mamma mia… ancora a pensarci mi viene la pelle d’oca. Se la loro altezza era quella di uomini normali o poco più, era il volto che non lo era affatto. Perché era illuminato…sì, il volto brillava… forse erano soli gli occhi ad essere luminosi, ma vuoi perché non era così o perché la luce veniva rifratta dalla nebbiolina, fatto sta che ad essere luminoso sembrava l’intero volto.
A quel punto, mi sono proprio spaventata e sono tornata velocemente in auto e partita via.
In seguito, ho cercato di capire se in zona stessero girando uno spot pubblicitario oppure un film. Ma niente. Così come non ho saputo di altri testimoni. E questo è davvero strano, perché in quella strada e a quell’ora il traffico è molto pesante.
Purtroppo non ricordo se con me si fossero fermate altre perone, ma non credo. E non ho neppure pensato di scattare fotografie. A dire il vero, anche se mi fosse venuto in mente, non avrei potuto farlo perché allora avevo un cellulare di quelli <anteguerra>…”.
Finalmente la vedo sorridere, dopo alcuni minuti di volto tirato. Chiedo che idea si sia fatta di quel’episodio.
“Nessuna. Non so che cosa sia successo, ma ciò cheho visto mi pareva molto reale. Non sono appassionata di UFO, alieni, fantasmi e roba simile. Sono cose che proprio non mi interessano, neppure ora. E non mi è più successo nulla di strano, né ho avuto conseguenze psicofisiche da quell’evento. L’unica cosa è che, quando ripasso da quelle parti, il che ora per fortuna non capita spesso, l’episodio mi ritorna in mente”.
Vediamo di ragionare sulla storia
Al di là del fatto in sé, decisamente ed oggettivamente strano, a suscitare meraviglia è la (presunta) assenza di altri testimoni, quando invece avrebbero dovuti essere a decine, visto il traffico stradale di quella zona. Ciò, da una parte, rende giustizia alla buona fede della testimone (se avesse voluto raccontare una “balla” l’avrebbe resa più credibile, senza contare l’estrema ritrosia a parlarne). Dall’altra, la letteratura ufologica (e non solo) è ricca di episodi in cui la selettività della visione è evidente (cioè, “io e te siamo vicini e guardiamo lo stesso punto, ma io vedo una cosa e tu no”). Quindi, da questi punti di vista, l’episodio è altamente credibile. Andare oltre a questa riflessioni,però, non sarebbe onesto.
Chiudo con un interessante paragone. Erano giorni che ci pensavo, poi finalmente mi è venuto in mente che cosa mi ricordassero gli “esseri” descritti dalla testimone. Sto parlando del cosiddetto “Mostro di Flatwoods”, una presunta entità extraterrestre avvistata il 12 settembre 1952 vicino alla cittadina di Flatwoods, nella Virginia Occidentale (Stati Uniti). Perché l’altezza della creatura poteva essere paragonata a quella di un uomo di alta statura, la sua figura appariva scurama con occhi luminosi e portava una sorta di mantello. E c’era pure la nebbia…