E, come promesso nel precedente articolo, eccoci a parlare di un vero e proprio mistero, uno dei tanti, a dire il vero, di cui l’archeologia è pregna. Un mistero che, tanti anni fa, ho avuto la possibilità di toccare con mano.
Machu Picchu
Come raccontano i libri di archeologia, Machu Picchu, la città perduta degli Incas nella foresta amazzonica a circa 2.500 metri di quota, venne scoperta nel 1911 da Hiram Bingham, dopo un viaggio lungo ed avventuroso. In realtà, la trovò per caso, essendo alla ricerca della mitica Vilcabamba.
Da appassionato di archeologia, ho sempre desiderato vederla dal vivo. Ed è successo parecchi anni fa, scegliendo uno dei due soli modi per raggiungerla. Non il faticoso “cammino inca” (il così detto “inka trail”), quaranta chilometri di saliscendi, quattro giorni di trekking ad oltre 2.000 metri di quota.
Piuttosto, l’accoppiata treno + pullman (pure questa poco agevole, vista la tortuosità del percorso e il conseguente mal di viaggio).
Insomma, per gli appassionati di archeologia ricordo che non ci si può recare in auto.
La prima impressione di questo luogo è che sia come “sospeso”. Perché, come ci si allontana dalla zona centrale in cui sorgono le costruzioni, le pareti della montagna scendono ripide ed altissime verso la valle sottostante.
E a proposito di mistero… è in questo punto che ho vissuto forse l’unica sensazione davvero inspiegabile (ovviamente dal mio punto di vista) girando per i vari siti, più o meno famosi, di cui parla l’archeologia. Una sensazione di disagio, mi verrebbe da dire, di cui non mi sono mai dato una ragione. Inutile ripetere che si tratta di considerazioni soggettive, ma ho avuto la netta percezione che vi fosse qualcosa a disturbare il mio stato d’animo. Che cosa? Non lo so neppure oggi.
Venendo a considerazioni di carattere più generale, il sito è un classico esempio di come l’archeologia si sposi con il mistero.
Misteri e curiosità di Machu Picchu
Ad esempio, viene da chiedersi il motivo di sobbarcarsi grandi fatiche per la costruzione del complesso, vista l’altitudine, nella consapevolezza che non poteva, per limiti di spazio, avere un ulteriore sviluppo. Forse il primo imperatore inca Pachacutec, che fondò la città nel XV secolo, voleva creare qualcosa di grandioso, spianando la cima di una montagna sacra che pare toccare il cielo, per poter convivere con gli dèi. A scanso di equivoci, sono la datazione con il carbonio 14 dei reperti organici ritrovati, lo stile “inca imperiale”, la tipologia della ceramica e la totale assenza di evidenze archeologiche di epoca pre-inca che rendono certo il suo periodo di costruzione.
Comunque, le pietre granitiche utilizzate erano già nel luogo (lo si può notare pure oggi). Quindi, furono spostate solo per brevi distanze, dopo averle smussate e trascinate su percorsi ghiaiati per facilitarne la manovrabilità.
E poi squadrate con angoli diversi, al fine di rendere la struttura più stabile.
Da ultimo, le pietre più grandi e con angoli multipli (e più difficili da lavorare) erano utilizzate per edificare i luoghi sacri, perché erano quelli che dovevano resistere all’usura del tempo. Quelle più piccole, invece, si usavano per le comuni abitazioni. Quindi, tecniche diverse ma di un medesimo periodo storico.
E i terrapieni? Servivano per aumentare lo spazio coltivabile, irrobustire il pendio della montagna e regolare il flusso dell’acqua. Quest’ultimo aspetto lo si intuisce osservando le pietre dei terrapieni. Che sono più piccole in alto ed aumentano di volume man mano che si scende verso il basso. In questo modo, l’acqua scorre più lentamente.
Gironzolando per il sito, si notano alcuni particolari curiosi che l’archeologia ritiene di sdoganare dal campo del mistero. Ad esempio, le tre finestre allineate, che cosa rappresentano? L’ipotesi più accreditata è che indichino le tre grotte primordiali alle quali si affacciarono gli antenati del popolo Inca…
E che dire di quei due anelli a rilievo sul pavimento della Sala dei Mortai (così chiamata per semplice convenzione)?
In questo caso, l’archeologia non ha le idee molto chiare. Per alcuni studiosi, venivano riempiti d’acqua per osservare più comodamente le stelle. Per altri, erano dei semplici contenitori di tintura per tessuti. Ma c’è chi sostiene che non avessero nessun valore pratico, ma rappresentassero gli occhi del giaguaro, animale sacro agli Incas. Insomma, qui il mistero esce in tutta la sua evidenza.
Ma continuiamo con il mistero… e, cioè, perché sono stati ritrovati molti scheletri femminili? Forse si trattava delle Vergini del Sole, le vestali del culto solare Inti.
E che dire di quella protuberanza rocciosa che emerge, seppur di poco, da una roccia con la quale forma un tutt’uno? È il così detto Intiwatana, un monolite al quale i sacerdoti legavano idealmente il sole (da qui il nome) al solstizio d’inverno, in pratica, per impedire che “scappi” dal cielo. Ricordo che in quel momento esso raggiunge la sua minima altezza sull’orizzonte all’ora di mezzogiorno.
C’è poi un altro particolare davvero intrigante. Perché, quei gradini che non portano da nessuna parte, quale significato hanno? Forse si tratta di un lavoro incompiuto, oppure hanno un senso che ci sfugge. Quindi, anche in questo caso il mistero rimane perché l’archeologia non riesce a dare risposte certe.
Il mistero più grande
Ma il mistero più intrigante del sito riguarda il perché, ad un certo punto, gli Incas decisero di abbandonare una zona così nascosta e, quindi, sicura.
Forse l’arrivo dei Conquistadores spagnoli indebolì l’impero, non solo per la supremazia militare, ma anche a causa delle malattie, come il vaiolo, che involontariamente portarono e che uccisero le indifese popolazioni locali.
A quel punto, forse, gli Incas persero fiducia nei propri dèi (quindi, non aveva più senso vivere in un luogo a loro dedicato). Oppure, non c’era più il tempo per impiegare risorse in un qualcosa di meramente simbolico. In pratica, la priorità era la lotta per la sopravvivenza, e con ogni energia possibile. Chissà…
Nel prossimo articolo parleremo delle misteriose linee di Nazca…